Complice la tregua pasquale, le consultazioni al Quirinale apriranno mercoledì ufficialmente i «tempi di decantazione» della crisi. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, comincerà ricevendo per prima la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, il cui ottimismo nei riguardi di una soluzione positiva non sembra affatto formale. Non lo è soprattutto perché corrisponde all'atteggiamento costruttivo che in queste ore alberga in Forza Italia. Il cui leader Silvio Berlusconi non nasconde la volontà di farsi a sua volta «mediatore» tra i galletti in campo, sia per riaffermare un proprio ruolo di king maker (nei fatti renderebbe vane le pregiudiziali poste da M5s), sia nell'«interesse dei cittadini» e degli operatori economici che temono una situazione di stallo senza vie d'uscita. Al Quirinale questo spirito propositivo viene visto con grande favore, considerato l'atteggiamento vieppiù malmostoso di un Pd privo di idee, attanagliato da sete di ripicca, scosso da guerre interne. Il primo punto sul tavolo, come sarà chiaro agli interlocutori dello studio alla Vetrata, è quello di scongiurare un ritorno alle urne che indebolirebbe il Paese esponendolo a possibili campagne di speculazione.
Mattarella è cosciente che, al di là dei toni e degli strascichi di campagna elettorale, la ritrosia di un ritorno alle elezioni è un alleato prezioso, in una visione responsabile della situazione. Non conviene al Pd, che rischierebbe l'annientamento. Non a Forza Italia o Fratelli d'Italia. Ma neppure a Di Maio e Salvini, che pagherebbero una loro irresponsabile testardaggine - se dovesse fare capolino financo nelle consultazioni - e che difficilmente potrebbero aspirare a un «pieno» di parlamentari, come e più che in questa legislatura, che consenta loro un «monocolore». Senza dimenticare poi che i quasi mille neo-onorevoli sarebbero assai restii a una deriva così inutilmente dispendiosa. Se la Lega ha già mostrato segnali di disponibilità a soluzioni alternative (l'ipotesi Giorgetti), il secondo compito che ci si proporrà al Colle sarà quello di smussare la veemenza un po' ingenua con la quale i grillini pensano di poter dettar legge e imporre un incarico a Di Maio. Saranno d'aiuto i buoni uffici del segretario generale Zampetti, che ha conosciuto bene il leader cinquestelle. Già nel secondo colloquio, con il più ortodosso Roberto Fico, presidente della Camera, si potrà toccare con mano l'inutilità velleitaria di un arroccamento. Il sistema di voto ormai compiutamente proporzionale impone di adottare logiche coerenti; insistere nel sostenere che «gli italiani hanno espresso la volontà di vedere Di Maio a Palazzo Chigi» ha ormai il senso di una boutade, poco meno o poco più.
Il terzo punto, ancora più concreto, toccherà invece l'imminente banco di prova del Def: il documento di programmazione economica che il governo Gentiloni varerà entro il 10 aprile e che richiederà un dibattito parlamentare serio e consapevole dei vincoli europei. Va approvato a maggioranza assoluta dalle Camere e inviato a Bruxelles entro il 30.
Il Quirinale vorrà sapere quali modifiche vengano ritenute essenziali da M5s e Lega, in una prospettiva che possa richiamarsi a un programma di governo prossimo venturo. Sarà la base per un confronto nel quale ogni populismo o enunciazione di bandiera sono del tutto fuori luogo. Conteranno i numeri: quelli dell'economia e quelli di una maggioranza capace di sostenerli.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.