Mattarella zittisce i negazionisti "Foibe grande tragedia italiana"

Il presidente commemora gli infoibati vivi dai titini: «Dipinti come traditori dalla propaganda comunista»

Mattarella zittisce i negazionisti "Foibe grande tragedia italiana"

Seimila morti, 250mila profughi, un popolo in fuga, migliaia di famiglie separate. Sono questi, ricorda Sergio Mattarella, i numeri delle Foibe, le cifre «di una grande tragedia italiana» che per troppi anni si è cercato di coprire «sotto una cortina di silenzio», o di circoscrivere a evento quasi locale. Invece no, spiega il capo dello Stato, non è stata solo una «ritorsione eccessiva contro i torti del fascismo, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare», ma pulizia etnica. E ancora: «Certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, nemici del popolo che rifiutavano l'avvento del regime comunista, una massa indistinta di fascisti in fuga». Ebbene, «non era così, erano semplicemente italiani». Quanto al futuro, attenti a non sbandare: la libertà si difende «incoraggiando l'ideale europeo», non con il nazionalismo o litigando con Parigi.

Al Quirinale celebrazioni solenni della Giorno del Ricordo. Un Mattarella insolitamente duro condanna gli «orrori» commessi dagli jugoslavi titini e fa chiarezza su «un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento del sangue innocente di gente che non aveva nulla che fare con il regime». Un brutto passato di terrore, certo. Ma le parole del presidente hanno anche una chiave di lettura politica, quasi un avviso al governo impegnato in un braccio di ferro con Parigi e in polemiche sparse con la Ue sull'immigrazione. «L'Europa unita è nata sulle macerie e i fili spinati per dire mai più guerra, fanatismi nazionalistici, volontà di dominio e di sopraffazione. Per il mondo è stato un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace, un modo di vivere e di concepire la democrazia che va rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee», dalle «guerre commerciali alle negazioni dei diritti universali, alla corsa al riarmo».

Tutto ciò, sostiene il capo dello Stato, va «preservato» per non tornare indietro a quei «tempi bui». A quando, mentre in Italia «la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell'oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia», a sud di Trieste «un destino di ulteriore sofferenza attendeva giuliani, fiumani e dalmati nelle zone occupate dalle truppe jugoslave». Cacciati di casa, uccisi e buttati nelle caverne del Carso. «Tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni». Dopo le stragi nelle Foibe «i circa duecentocinquantamila mila profughi, che tutto avevano perduto e che guardavano alla madrepatria con speranza e fiducia, non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti la macchina dell'accoglienza».

Anzi, conclude il capo dello Stato, trovarono un'«intollerabile cortina di silenzio alimentata da interessi politici».

E soltanto dopo la caduta del muro di Berlino «una paziente e coraggiosa opera storiografica, non senza inaccettabili tentativi di delegittimazione», ha fatto piena luce sulle foibe e sull'esodo «restituendo questa pagina strappata alla storia e all'identità della Nazione». Quelle di Mattarella «sono parole epocali», commenta Carla Isabella Elena Cace, presidente dell'associazione nazionale dalmata. E il premier Giuseppe Conte: «Conservare la memoria è un nostro dovere».

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