Matteo scrive le dimissioni. Dalla fronda ok a Martina

Verso la gestione collegiale coordinata dal vicesegretario. Ma la base è con l'ex premier

Matteo scrive le dimissioni. Dalla fronda ok a Martina

Roma - Roma Dimissioni formali, «esecutive da lunedì»: Matteo Renzi, nelle ore successive al voto, ha già firmato la lettera, consegnata al presidente Pd Matteo Orfini, che la leggerà in Direzione.

«Sono già fuori, senza scontri o polemiche ma con grande serenità», dice agli amici. Ieri era a Firenze, lunedì probabilmente sarà alla Direzione e non è escluso che intervenga. Da «senatore semplice». Ma con la formalizzazione delle dimissioni Renzi ha disinnescato una tensione che rischiava di esplodere dilaniando il partito. Sarà il suo vice, Maurizio Martina, a tenere la relazione e a guidare insieme ad Orfini il percorso verso l'Assemblea nazionale, che potrebbe scegliere un nuovo segretario. Nel frattempo, si cercherà un'intesa anche sui capigruppo da eleggere: lo schema cui si lavora è quello di un renziano doc a Palazzo Madama e di una figura «di sintesi» a Montecitorio. La resa dei conti pare evitata, o almeno rinviata.

Un leader dimissionario, Renzi, ma in singolare sintonia con la base dem sulla linea da tenere: «Senza di me» è lo slogan che impazza sui social media, partito dalla base renziana, e che sta a significare che i voti del Pd mai dovranno andare ad un governo 5 Stelle. In poche ore è diventato il più popolare e citato, e lo è rimasto per tre giorni: un segnale chiaro da parte del popolo Pd. Anche per questo - oltre che per togliere a Renzi un efficace argomento polemico - una nutrita serie di dirigenti anti o post renziani si sono allineati declamando che mai hanno pensato o penseranno di dare sostegno ad un esecutivo dei populisti. In Direzione verrà probabilmente presentato e votato all'unanimità (tranne i tre gatti del pugliese filo-grillino Emiliano) un ordine del giorno in questo senso: gli elettori hanno parlato, il Pd è stato mandato all'opposizione e lì resta: la formazione di un governo spetta ai vincitori.

Ma Renzi non si fida affatto dei proclami: sa che, nelle prossime settimane, partiranno le pressioni perché il Pd faccia esattamente l'opposto, in nome della responsabilità nazionale: del resto i Dem si trovano nella singolare situazione di essere stati sconfitti, ma di essere determinanti ai fini della maggioranza per entrambi gli schieramenti vincitori, centrodestra e M5s. E quanti, pressati dal Colle, allettati da offerte o spaventati dal rischio di tornare alle urne resisteranno? Per questo l'ex segretario non ha intenzione di mollare il punto. Molti parlamentari si dicono con lui, sapendo che al momento della scelta il Pd potrebbe spaccarsi: «Dovesse anche partire il pressing dell'establishment, io resterò deputato di opposizione: la voce della ragione non può essere messa a tacere in quell'aula», dice Ivan Scalfarotto. «Resterò antigrillino e antileghista, e non sarò solo», assicura.

Ancor più diretto è Salvatore Margiotta: «Viste le reazioni scomposte di Zanda e altri, Renzi deve aver rotto le uova nel paniere a chi

preparava caminetti. Ma quelli che, nel Pd, teorizzano l'appoggio a M5s, non facciano affidamento sul mio voto, in Senato», avverte via Twitter. Ricevendo subito una valanga di «mi piace» dai militanti: un migliaio in poche ore.

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