Matteo Renzi risponderà stasera, dalla scuola dei giovani Dem in corso a Roma, all'affondo dalemiano e alla guerriglia che prosegue da giorni sull'esito delle primarie. E lo farà di ritorno da Parigi, dove vola stamattina per partecipare al vertice dei leader socialisti europei (e si può immaginare lo sdegno di D'Alema per il fatto che in un simile consesso venga invitato Renzi al posto suo) ospitato da Hollande. Un incontro al quale, per la prima volta, parteciperà anche il premier greco Alexis Tsipras.
Già ieri su D'Alema si è abbattuta la contraerea dei suoi, ma non sono tanto gli affondi dell'ex lìder maximo a preoccupare il presidente del Consiglio, anzi: «Il suo è un distillato di odio. Ma quando ci attacca, ottiene l'effetto opposto...», ironizza coi suoi. «E certo non mi faccio spaventare da lui, che lavora organicamente per la scissione, o dagli atteggiamenti sleali di altri. Noi intanto andiamo avanti tutta, ora che si cominciano a vedere i primi risultati del nostro governo, testimoniati dai dati Istat sulla ripresa della produzione industriale: è per questo che hanno paura e strappano proprio ora». È quel che c'è dietro alle intemerate di D'Alema (che, raccontano in casa renziana, starebbe anche tentando di «riprendersi la testata dell'Unità», attraverso investitori con interessi editoriali come Matteo Arpe), ma anche alle minacce di Bersani e al moltiplicarsi di operazioni per far saltare i candidati Pd alle Amministrative di giugno a creare però un certo allarme nei dintorni di Palazzo Chigi. Perché, spiega un dirigente renziano, «fatta la doverosa tara psicanalitica alle prese di posizione di molti della minoranza Pd, da un po' di mesi sta prendendo corpo qualcosa di ancora indefinito ma di pericoloso».
Qualcosa che, nella ricostruzione dei supporter del premier, «è iniziato a dicembre», con lo scoppio del caso banche e della vicenda Etruria. E forse non è un caso che l'avvertimento di Bersani sia arrivato ieri su questo, quando l'ex leader ha annunciato che «io la riforma delle Bcc non te la voto neanche se ci metti dieci fiducie, fattela votare da Verdini che è un esperto di credito cooperativo». Un'operazione, riflettono in casa renziana, che parte da «pezzi dell'establishment, confindustriale e bancario, con propaggini nei grandi giornali, che con Renzi a Palazzo Chigi hanno perso potere e che sono ansiosi di tornare in gioco». E di pezzi di vecchia classe politica anche Pd che ha paura di restare tagliata fuori, «perché se fai le riforme, e riduci il numero dei parlamentari, paghi un prezzo: quelli che temono di non tornare più in Parlamento si ribellano». Non sfugge neppure lo «stravagante» endorsement dell'Economist alla candidata grillina a Roma, né lo strano caos nel centrodestra sulla Capitale: «Non possono essere così pazzi da dividersi così per nulla: vogliono far vincere la candidata di Casaleggio».
Perché una sconfitta estesa alle amministrative, e una simbolica vittoria grillina a Roma avrebbero un inevitabile, duro contraccolpo sul governo, finendo per indebolire il premier. La sinistra fuori dal Pd e la minoranza dentro sarebbero solo, in questo scenario, «gli utili idioti di una manovra assai più vasta».
Renzi sa che la fronda bersaniana vorrebbe innanzitutto una ricompensa interna: «Chiedono il 20% della rappresentanza nel partito e delle candidature alle prossime elezioni». Altrimenti minacciano guerriglia, anche in Parlamento. «Ma se davvero organizzano 20 senatori contro il governo, si va a votare». E i posti in lista se li scordano. LCes- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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