Una maxi maggioranza per il suicidio del Senato L'opposizione in rivolta

Renzi e la Boschi esultano: anche senza Ala il governo è autosufficiente. Tensione quando parla Napolitano: Aventino di M5S, Fi e Lega

F inisce con una maggioranza sopra le aspettative: 179 voti a favore della riforma, 16 no e 7 astenuti; e con il sorriso smagliante, dai banchi del governo, della ministra Maria Elena Boschi, madrina della abolizione del bicameralismo.

Il premier Matteo Renzi, prima di celebrare la vittoria (inaspettata appena qualche settimana fa), controlla i numeri: il successo vero, per il governo, è quello di poter rivendicare che la maggioranza è stata comunque autosufficiente, e che i tanto contestati voti dei verdiniani non sono stati determinanti. Senza i quindici sì arrivati dal gruppo Ala e dai due dissidenti di Forza Italia, l'area che sostiene il governo ne ha da sola portati 164, tre più della maggioranza assoluta.

Una doppia soddisfazione per il premier, dunque, che lascia cavallerescamente che sia la Boschi la prima celebrare la vittoria («Semplicemente una bellissima giornata, per noi e soprattutto per l'Italia») e poi twitta entusiasta: «Grazie a chi continua a inseguire il sogno di un'Italia più semplice e più forte: le riforme servono a questo», seguito dall'ormai consueto slogan «la volta buona».

Le opposizioni si dividono tra astensione e uscita dall'Aula, la minoranza Pd si allinea con poche eccezioni (i soliti Mineo, Tocci e Casson), il presidente Grasso tira un sospiro di sollievo per la conclusione della maratona: «È stato un percorso lungo e segnato da momenti tesi: non sono state settimane facili», confida via Facebook . Ma «in coscienza - rivendica - posso dire che in un clima così infuocato ho fatto di tutto per rimanere imparziale senza lasciarmi condizionare dalle ragioni degli uni o degli altri».

Ora il ddl Boschi dovrà essere rivotato, senza più modifiche, dalla Camera e nuovamente dal Senato, poi si aprirà il percorso verso il referendum confermativo, che si celebrerà presumibilmente di qui a un anno. Ma l'ostacolo principale, quello su cui il governo, secondo molti critici e osservatori, rischiava l'osso del collo, è ormai alle spalle. «Una prova di coerenza e serietà che ci rafforza anche in Europa», assicura il ministro degli Esteri Gentiloni. E del resto il premier ha voluto che il sì arrivasse prima della legge di Stabilità anche per far pesare le sue riforme sul tavolo della trattativa con Bruxelles.

Il momento di massima tensione, nell'aula di Palazzo Madama, si è toccato ieri con l'intervento di Giorgio Napolitano («Il vero padre della riforma», ha ricordato la Boschi), quando i senatori grillini e quasi tutti quelli di Forza Italia si sono rumorosamente alzati per abbandonare l'Aula in segno di contestazione verso l'ex capo dello Stato. Del quale il M5s ha anche messo online una foto che lo ritraeva a colloquio con Verdini, andato a salutarlo sul suo banco di senatore.

Napolitano però non batte ciglio e continua impassibile il suo discorso: «La riforma non è certamente perfetta», dice, ma «l'alternativa era restare inchiodati a tutte le attuali distorsioni e storture: se penso alle tante occasioni di riforma perdute, ne colgo la causa proprio nella defatigante ricerca del perfetto».

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