"Meglio la tregua". Hamas resta divisa sul futuro dell'intesa

Il movimento spaccato prende tempo Al-Haddad è "aperto al compromesso"

"Meglio la tregua". Hamas resta divisa sul futuro dell'intesa
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Hamas ha fatto sapere al mondo di aver accettato parti importanti del piano di pace del presidente americano Donald Trump. Ma internamente il gruppo rimane diviso su come procedere. E solo superando le divisioni è possibile arrivare a un accordo finale e quindi alla fine del conflitto.

Venerdì, il movimento islamista si è detto disposto a rilasciare gli ostaggi e i corpi di coloro che erano morti "non appena saranno soddisfatte le condizioni sul campo per lo scambio".

Una dichiarazione storica che ha rafforzato la speranza di porre fine alla guerra nella Striscia in concomitanza con il secondo anniversario del 7 ottobre. Israele ritiene che ci siano circa 20 prigionieri vivi a Gaza e i corpi di circa altri 28 defunti. Se Hamas li rilascia, la proposta del presidente Trump prevede che Israele scarceri 250 palestinesi e 1.700 abitanti dell'enclave detenuti durante la guerra. Hamas ha anche accettato di "cedere l'amministrazione della Striscia di Gaza a un organismo palestinese di tecnocrati indipendenti, sulla base del consenso nazionale palestinese e del sostegno arabo e islamico".

La risposta di Hamas, sebbene importante e un passo in avanti nei negoziati, presenta ambiguità che potrebbero ostacolare un accordo.

Non è chiaro se Hamas abbia un calendario per la liberazione dei sequestrati o cosa intenda esattamente con le "condizioni sul campo" che dovrebbero essere soddisfatte. Dal gruppo sono stati chiesti diversi chiarimenti che tuttavia stentano ad arrivare. Tra questi la tempistica per il ritiro delle forze israeliane da Gaza, il proprio disarmo e garanzie sulla cessazione definitiva delle ostilità.

Il movimento, però, ha usato un linguaggio evasivo che alcuni analisti hanno ritenuto problematico per il raggiungimento della pace. Khalil Al-Hayya, il principale negoziatore di Hamas, e diversi altri alti funzionari politici sostengono l'accettazione della proposta, nonostante significative riserve. Tuttavia, questi funzionari di Hamas, con sede fuori Gaza, hanno un'influenza limitata sull'ala armata del gruppo, che rimane nell'enclave.

Ezzedin al-Haddad, alla guida di Hamas a Gaza dopo l'uccisione di Yahya e Mohammed Sinwar da parte di Israele, ha dichiarato ai mediatori di essere aperto al compromesso. Haddad è disposto a cedere razzi e altre armi offensive all'Egitto e alle Nazioni Unite, ma desidera conservare armi leggere come i fucili d'assalto, che Hamas considera difensive.

Tuttavia, i comandanti del gruppo a Gaza temono di non essere in grado di imporre il rispetto delle richieste di disarmo tra i combattenti se accetteranno un patto che equivale a una resa. Chi è critico all'interno del movimento sunnita infatti liquida la proposta come "una tregua di 72 ore" piuttosto che un vero accordo di pace.

A tal proposito Hamas ha affermato di volere ulteriori "negoziati per discutere i dettagli". I vertici militari del gruppo ad esempio hanno insistito sul fatto che qualsiasi rilascio di ostaggi debba essere legato a una chiara tempistica per il ritiro israeliano da Gaza.

Secondo alcuni osservatori la dichiarazione di Hamas mira a guadagnare tempo affinché il movimento risolva le tensioni tra la sua ala politica e militare. Hamas ha anche chiesto trasparenza sulla formazione di una forza internazionale di mantenimento della pace nell'enclave. Il gruppo è stato vago sulla sua disponibilità a rinunciare completamente al suo ruolo dominante a Gaza, o se veda un posto per sé o per i suoi membri tra i tecnocrati.

Intanto i negoziatori israeliani si stanno preparando a recarsi in Egitto per colloqui indiretti con il movimento nei prossimi giorni. La risposta di Hamas, purtroppo prevedibile, finora è un classico "sì, ma". E questi dubbi rendono molto delicate le prossime ore.

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