Mentre infuria la polemica su un nuovo audio dell'intervento di Berlusconi durante l'assemblea di martedì con i deputati azzurri, Meloni sparisce dai radar per tutto il giorno. L'attendono alla Camera, dove si votano vicepresidenti e questori, ma la leader di Fdi preferisce restare lontana da microfoni e telecamere. Perché è ancora alle prese con la definizione della squadra di governo, con il delicato nodo della Giustizia che non è del tutto sciolto e con la casella della Difesa che sarebbe tornata a ballare. E, soprattutto, perché le parole del Cavaliere sull'Ucraina e su Zelensky hanno sollevato un polverone che è arrivato fino a Bruxelles.
In Transatlantico i deputati di Fratelli d'Italia, anche quelli che hanno una consuetudine più stretta con Meloni, evitano di aprire fronti polemici. Ma più d'uno non esita a definire «preoccupante» la posizione espressa dal leader di Forza Italia. Con Meloni che, per usare un eufemismo, non avrebbe affatto gradito. Dopo un anno e passa a cercare di rassicurare l'Europa sul posizionamento di Fdi (anche rispetto alla linea euroscettica di alcuni anni fa) sono bastate le ultime 48 ore ad aprire una breccia su un tema così delicato come l'invasione dell'Ucraina, su cui - peraltro - Meloni ha da sempre una posizione netta. La premier in pectore, però, vuole evitare di dare risposte avventate o, magari, a favore di telecamere e dunque decisamente più d'impatto. D'altra parte, siamo allo sprint finale, visto che oggi si aprono le consultazioni e la delegazione unitaria del centrodestra è attesta al Quirinale domani alle 10.30. Inutile, insomma, alzare ulteriormente i toni. Nonostante l'irritazione sia grande, tanto che ieri non ci sarebbe stato alcun contatto diretto tra Meloni e Berlusconi. La leader di Fdi, invece, avrebbe sentito (forse più d'una volta) e tranquillizzato Mattarella, anche se il Colle smentisce un'interlocuzione diretta.
Di certo, quello che la premier in pectore veicola ai suoi è la volontà di tirar dritto, a costo di fare la lista dei ministri da sola e poi presentarla al capo dello Stato. Insomma, è il senso del ragionamento, senza alcun condizionamento. A quel punto, la palla passerebbe alle Camere per la fiducia. Questo, ovviamente, dando per scontato - e nonostante le tensioni non esistono ragioni per non credere sarà così - che domani il centrodestra indichi Meloni come premier.
Finisce in secondo piano, quindi, la partita della squadra di governo. Con la Giustizia al centro del tira e molla, visto che il faccia a faccia di ieri a villa Grande tra Berlusconi e Nordio - il nome indicato da Fdi per via Arenula - non sarebbe stato risolutivo. Con il leader di Forza Italia che non ha alcuna obiezione sul suo profilo, ma che non vuole lasciare una casella per la quale - continua a ripetere - è stata Meloni «a fare il nome di Casellati». Un incomprensione destinata a risolversi, anche perché Nordio ha posizioni notoriamente garantiste (anche sull'abuso d'ufficio e sulla legge Severino). «Credo che il Cavaliere condivida le mie idee», dice non a caso l'ex pm.
Il punto, però, è il braccio di ferro complessivo. Con Meloni che solo a sera - con una nota - ribadisce di voler tirare dritto. «Su una cosa sono e sarò sempre chiara: intendo guidare un governo con una linea di politica estera inequivocabile», dice la leader di Fdi. E ancora: «L'Italia è a testa alta nell'Alleanza Atlantica e chi non fosse d'accordo non potrà far parte di questo governo».
«A costo di non fare il governo», aggiunge netta. Insomma, «con noi l'Italia non sarà mai l'anello debole dell'Occidente, la nazione inaffidabile tanto cara ai suoi detrattori». Su questo - conclude - «chiederò chiarezza a tutti i ministri di un eventuale esecutivo».
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