Meloni vede il premier cinese: addio "soft" alla Via della Seta (con alcune trattative riservate)

L'incontro con Qiang: sul tavolo il confronto con risorse tecnologiche e mercato di lusso italiano. Il via libera con Biden al "corridoio alternativo"

Meloni vede il premier cinese: addio "soft" alla Via della Seta (con alcune trattative riservate)
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Che l'Italia sia da tempo pronta a lasciarsi alle spalle i memorandum della Via della Seta - 19 intese istituzionali e 10 accordi commerciali sottoscritti nel 2019 dal governo Conte - non è un mistero da mesi. Il punto è come farlo, perché il nostro è stato l'unico Paese del G7 ad aderire al progetto. Che ha sì una sua valenza economica, ma - evidentemente - anche un suo ritorno politico. Soprattutto guardando agli equilibri geopolitici globali, sempre più caratterizzati dal braccio di ferro tra Washington e Pechino. È anche e soprattutto per questo - per non perdere la bandierina dell'unico membro del G7 che aveva sottoscritto l'intesa - che la Cina sta cercando di fare le barricate.

La recente missione a Pechino del ministro degli Esteri Antonio Tajani sembrava aver facilitato l'uscita italiana dal memorandum in scadenza a fine anno. Ma non è stata sufficiente se la diplomazia di Pechino ha chiesto un incontro tra il premier Li Qiang e Giorgia Meloni. Un faccia a faccia andato in scena ieri a New Delhi a margine del G20 e che per una buona mezzora è stato a due e senza sherpa. E durante il quale Qiang - che al summit fa le veci di Xi Jinping - avrebbe nuovamente invitato l'Italia a non chiamarsi fuori dalla Via della Seta.

Un pressing che in realtà mira ad altro, perché Pechino è ben consapevole da mesi che l'Italia non rinnoverà gli accordi sottoscritti da Conte. L'obiettivo cinese, infatti, è quello di ottenere che Roma non faccia passare la sua decisione come una scelta di campo tra Washington e Pechino. Una strada che la premier sembra condividere, convinta che sia inevitabile abbandonare la Via della Seta ma assolutamente propensa a non aprire un fronte di scontro con la Cina. Non è un caso che fonti diplomatiche italiane insistano nel sottolineare come la scelta sia demandata al voto del Parlamento in programma entro dicembre (l'esito è scontato, ma il senso del messaggio è che la decisione non arriva unilateralmente da Palazzo Chigi), mentre l'ambasciatore cinese a Roma Jia Guide parla di un incontro in cui si è ragionato sugli «interessi comuni di entrambi i Paesi».

Insomma, con grande prudenza e seguendo il lessico della diplomazia, sia Roma che Pechino sanno bene che l'Italia è ormai destinata ad abbandonare la Via della Seta. Ma, fanno sapere fonti italiane, «forti entrambe di una storia millenaria», Italia e Cina «condividono un partenariato strategico di cui il prossimo anno ricorrerà il ventesimo anniversario e che costituirà il faro per l'avanzamento dell'amicizia e della collaborazione tra le due nazioni». E Pechino, ha assicurato Qiang durante l'incontro con Meloni, «continuerà a espandere l'accesso al mercato per creare più opportunità», perché «i prodotti di qualità italiani entrino nel mercato cinese».

Il risultato è una comune exit strategy senza troppe polemiche. Che si porta dietro una trattativa riservata su alcuni dossier commercialmente centrali tra i due Paesi, un negoziato nel quale la Cina ha messo sul piatto il fatto che Pechino è uno dei principali mercati globali del lusso. Un settore evidentemente strategico per l'Italia.

Al netto di questo e dei memorandum commerciali che faranno da placebo all'addio italiano alla Via della Seta, la decisione è ormai presa. Tanto che proprio ieri a New Delhi, Meloni ha firmato l'accordo per il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, un progetto che Joe Biden ha definito «un grande investimento».

Nessuno dice che è «contro la Cina», ma è evidente che la sfida di rafforzare l'integrazione tra Asia, regione del Golfo e continente europeo non può che essere letta come l'alternativa alla Via della Seta lanciata da Xi Jinping nel 2013.

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