La memoria corta del Pd sulle indagini sul modello Riace

La sinistra ora si straccia le vesti e attacca Salvini, ma dimentica che fu il Pd a iniziare le indagini su Lucano e a bloccare i fondi

La memoria corta del Pd sulle indagini sul modello Riace

Calabria, 22 aprile 2016. A un convegno sull'accoglienza dei migranti, l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Marco Minniti siede accanto a Mimmo Lucano e ne esalta il modello di integrazione che ha creato a Riace. Ricordando "Il volo", documentario del regista Wim Wenders che narra la storia di solidarietà della cittadina calabrese, Minniti afferma: "Nel tema dell'immigrazione si riflette il ruolo straordinario che quella storia offre alla Calabria e all'Italia e noi siamo al centro del Mediterraneo". L'allora vicepresidente del Pd, Lorenzo Guerini, gli fa eco: "Voi, in Calabria, da questo punto di vista ci insegnate molto. Questa è una terra con grandi difficoltà che però non si gira dall'altra parte".

Passano pochi mesi e Minniti diventa ministro dell'Interno nel governo Gentiloni. E va in scena un altro film, il cui regista però viene occultato, silenziato, snobbato. Perché quando Minniti avvia le indagini nei confronti del modello che prima esaltava nessuno muove un dito, nessuno grida al razzismo, alla xenofobia, all'onda nera della destra. Eppure non serviva né Repubblica né Salvini a ricordare la cronologia degli eventi, bastava rileggere le carte e rammentare cosa pensava Lucano dell'esponente dem. "Adesso con il nuovo governo c’è uno che si chiama Minniti, una brutta persona, vi mandano via, vi cacciano", diceva il 6 luglio 2017 in una intercettazione il sindaco di Riace a una cittadina straniera a cui era stato negato il permesso di soggiorno.

Questo perché il ministro aveva cambiato le regole e ridotto le possibilità di fare ricorso nel caso in cui una domanda d'asilo veniva respinta. Ma non solo. In quel periodo, Minniti aveva già avviato - o meglio - visionato le indagini su tutto il modello Riace. Indagini che hanno visto il vero inizio nel luglio 2016 quando gli ispettori della Prefettura di Reggio Calabria si recarono nel centro Sprar ravvisando una serie di anomalie che vennero poi scritte nero su bianco nel mese in cui si insediò Minniti, cioè nel dicembre 2016.

Venticinque pagine in cui emergevano "situazioni fortemente critiche, la cui ripetitività richiederebbe ulteriori approfondimenti" dall'attivazione delle convenzioni stipulate con gli enti gestori ai "numerosi rapporti di parentela tra il personale in organico presso gli enti gestori e i componenti dell’amministrazione comunale” passando per la mancanza di controllo sistematico delle presenze dei migranti alle fatturazioni senza “pezze d’appoggio” fino ad arrivare alle anomalie sull'erogazione del Pocket Money. Il ministero guidato da Minniti ha voluto vederci chiaro tanto che nell'agosto 2017 ha bloccato i fondi per Riace suscitando l'ira di Lucano: "Gli strumenti che per anni sono stati considerati rivoluzionari adesso sono un problema. Da quanto sia stato possibile sapere, perché a noi l'esito delle ispezioni non viene comunicato, le spese inserite nella rendicontazione per i bonus e le borse lavoro negli anni 2014-2015 non sarebbero ammissibili. Dunque niente fondi. E ce lo dicono con tre anni di ritardo. Distruggere il sistema Riace significa distruggere il paese".

Poi le indagini hanno fatto il loro corso e si è arrivati all'arresto di Lucano nell'era salviniana. E solo ora diversi esponenti del Pd si stracciano le vesti e attaccano Salvini. Ma su Minniti, che ora potrebbe diventare persino il prossimo leader del loro partito, tacevano.

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