Politica

Il Mes spacca il governo. Conte: «Basta, decido io»

Il premier e i 5 Stelle restano arroccati sul no. Ma c'è il via libera di Renzi e del Pd

Massimiliano Scafi

Roma E alle sette di sera, dopo la ventesima tele-riunione giornaliera, Giuseppe Conte (nel tondo) perde l'aplomb e sbotta. «Basta. Ascolto tutti e parlo con tutti, ma poi decido io». Ma il punto è proprio questo, quali scelte fare. Tenere duro sul blocco o preparare altre aperture? Accettare i fondi del Mes, come chiedono Pd, Renzi, Confindustria, Gentiloni, Prodi e von der Leyen, o puntare ancora sugli eurobond, sperando in Macron? Dare spazio a Mr Wolf Vittorio Colao o tenergli la briglia corta? E il calcio, che fare? Intanto, mentre ogni Regione applica le direttive di Palazzo Chigi a là carte, i consumi sono calati di un terzo, lo spread ha sfondato quota 210 e il Fondo monetario prevede per l'Italia un meno 9,1 per cento di Pil nel 2020. Insomma, non ci sarebbe molto tempo da perdere.

Invece si litiga, e parecchio, sull'accesso ai miliardi del fondo salva Stati per le spese mediche. Conte, e i 5 stelle, non vogliono usarlo. «Sono intenzionato a combattere fino in fondo per gli eurobond», chiarisce il premier a brutto muso agli alleati, forte anche dell'apertura dell'ex falco Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, al Recovery Fund, eurobond con un diverso nome. Pd e Italia Viva sono sulla barricata opposta. «Incomprensibile il no a priori al Mes senza condizionalita - dice Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato - sono in ballo 36 miliardi per la sanità». Per Laura Castelli, viceministra grillina all'Economia, «si tratta di uno strumento inadeguato». Per Matteo Renzi «gli strumenti a disposizione vanno usati tutti». E d'accordo è anche il leaderdel Pd Nicola Zingaretti, sì al Mes purché senza condizionalità. In attesa del vertice europeo, il Mes sta avvelenando la maggioranza.

Dubbi, spaccature interne, incertezze che fanno a pugni con l'immagine decisionista che si vuole diffondere. «Eppure noi non siamo allo sbando, assicura Paola De Micheli, ministro per lo Sviluppo e le Infrastrutture. «È giusto e normale che ci sia un dibattito, però il governo non ha nessuna confusione, anzi ha le idee molto chiare e ha dato alle Regioni indicazioni precise. Quando abbiamo dovuto chiudere abbiamo chiuso. Ora dobbiamo riaprire nel modo giusto, con gradualità». Appoggiandosi ai consigli dei tanti esperti a disposizione? Fino a un certo punto. «Sentiremo gli scienziati, tuttavia le scelte saranno politiche», puntualizza la De Micheli. E il ministro delle Regioni Francesco Boccia, intervistato dal Corriere, fa trasparire un certo malessere: «Chiedo alla comunità scientifica di darci certezze inconfutabili, non tre o quattro opzioni per ogni tema. Pretendiamo chiarezza. Noi prendiamo la responsabilità di decidere, ma dobbiamo essere messi in condizione di farlo».

Qualcosa comunque verrà riaperto. Dopo le librerie, le cartolerie e i negozi di vestiti per bambini, attività tutte finite nella giungla delle diverse ordinanze locali, potrebbe essere la volta della moda, dell'auto e dell'industria metallurgica, con l'idea di riaccendere almeno una parte del Made in Italy. E la task force di Colao sta studiando piani per la stagione turistica estiva. Poi forse qualche cantiere. Non è ancora la sospirata fase due, infatti i tecnici invitano alla prudenza. «Al momento si tratta di ipotesi premature», taglia corto il capo della Protezione civile Angelo Borrelli.

Diciamo, fase uno e mezzo.

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