Mondo

Messico, arrestato il procuratore generale "Insabbiò la scomparsa di 43 studenti"

Murillo Karam in galera: aveva condotto la prima inchiesta sul bus sparito nel 2014, negando le responsabilità dell'esercito

Messico, arrestato il procuratore generale "Insabbiò la scomparsa di 43 studenti"

San Paolo. L'ex procuratore generale del Messico Jesus Murillo Karam è stato arrestato l'altro ieri con l'accusa pesantissima di «sparizione forzata, tortura e ostruzione alla giustizia» in relazione alla scomparsa nel 2014 di 43 studenti universitari e rischia 80 anni di carcere. Il caso commosse il mondo. Gli studenti dell'Università Normale di Ayotzinapa scomparvero la sera del 26 settembre 2014 mentre viaggiavano in autobus verso Città del Messico, dove dovevano partecipare a una manifestazione per la commemorazione del massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968. Mentre attraversavano il territorio della città di Iguala, nello stato di Guerrero, svanirono nel nulla. Murillo aveva condotto la prima inchiesta sul caso e fu lui a imporre quella che, sino a due giorni fa, era considerata la «verità storica» su quel tragico evento. Una «verità» però zeppa di menzogne, soprattutto perché esonerava da qualsiasi responsabilità i militari. Con una nuova inchiesta, voluta dal presidente Andrés Manuel López Obrador, AMLO come lo chiamano tutti, è invece emerso che molti «servitori dello Stato» contribuirono a nascondere i fatti.

Non a caso, oltre a Murillo, che ieri ha passato la sua seconda notte nel carcere di Città del Messico, ieri sono stati emessi altri 83 mandati di cattura, 20 dei quali contro comandanti e soldati del 27° e 41° battaglione di Iguala, 5 contro autorità amministrative e giudiziarie, 33 contro agenti di polizia, 11 contro dipendenti pubblici e 14 contro i membri del cartello Guerreros Unidos.

Secondo la «verità storica» di Murillo alcuni poliziotti corrotti di Iguala avevano arrestato gli studenti e li avevano consegnati a Guerreros Unidos, che li aveva poi uccisi e inceneriti nella discarica di Cocula, gettandone i resti nel fiume San Juani. Questa versione, avallata dall'allora presidente Peña Nieto, fu subito criticata da esperti indipendenti, dalla Commissione interamericana per i diritti umani e dai parenti degli scomparsi, che da allora non hanno mai smesso di cercare la verità. Per loro, i corpi non potevano essere stati bruciati nella discarica.

Ora l'indagine della Commissione per la verità e l'accesso alla giustizia sul caso Ayotzinapa dà loro ragione. Dall'inchiesta che ha portato all'arresto di Murillo risulta infatti che militari statali (e non solo «pochi poliziotti locali corrotti») stavano monitorando in tempo reale tutti i movimenti degli studenti da quando avevano lasciato in bus la Normale Ayotzinapa, grazie ad almeno un infiltrato, il soldato-studente Julio César López Patolzin. A osservarli con attenzione durante l'ultimo tragitto c'erano anche alcuni agenti dell'OBI, gli organi di ricerca dell'intelligence.

Il coinvolgimento degli apparati statali non sorprende, basti pensare che all'inizio di quest'anno AMLO aveva già detto che alcuni membri della marina erano indagati per alterazione delle prove nella discarica dove sono stati poi trovati i resti ossei di tre studenti. Ieri lo stesso presidente ha chiesto a tutti i coinvolti nella scomparsa di affrontare la giustizia. «Dite la verità su questa situazione atroce e disumana perché giustizia sia fatta e perché non si possa mai più ripetere un'aberrazione simile», ha detto il presidente messicano.

Dal canto suo, l'autorevole giornalista Epigmenio Ibarra ha assicurato che «se Peña Nieto e Murillo Karam avessero reagito immediatamente e ordinato un'operazione di ricerca e soccorso invece di preoccuparsi di insabbiare i responsabili e chiudere il caso, il destino dei 43 sarebbe stato molto diverso».

Commenti