Messico, il disastro del leader "Amlo". In tre mesi mai così tanti omicidi

Il nuovo idolo della sinistra latino-americana ha disatteso tutte le promesse elettorali. E punta ad accentrare tutto il potere

Messico, il disastro del leader "Amlo". In tre mesi mai così tanti omicidi

San Paolo Una violenza record, come mai si era registrata nella storia del Messico da quando le statistiche hanno iniziato a raccogliere dati nel 1997. Ovvero 8.737 morti ammazzati da gennaio a marzo, una media di 93 al giorno con un incremento del 10% rispetto al 2018. I dati sono stati resi noti dal Ministero della Sicurezza Pubblica del paese del tequila poche ore dopo che, nello stato di Veracruz, a Minatitlán, una famiglia era stata massacrata da un gruppo armato in un bar, dove stava festeggiando il venerdì santo. Bilancio 14 persone decedute tra cui una donna e un bambino di un anno. Il presidente del Messico Andrés Manuel Lopez Obrador - Amlo come lo chiamano nel paese del tequila in campagna elettorale aveva promesso che la causa della violenza e della corruzione era tutta colpa dei precedenti presidenti e che, a partire dal 1 dicembre 2018, quando si è insediato, le cose sarebbero cambiate. Invece sono peggiorate come non mai ma lui dà la colpa ai governi precedenti e promette che in sei mesi la situazione migliorerà. Staremo a vedere ma i dubbi sono leciti anche perché è oramai notorio che Amlo, il nuovo idolo della sinistra latinoamericana, dice una cosa e poi ne fa un'altra, quasi sempre esattamente opposta. Come ad esempio sull'ambiente. Amlo aveva promesso di difendere a spada tratta in campagna elettorale l'ecosistema ancestrale del Messico mentre adesso ha dato nuovo ossigeno alle miniere di carbone, quanto di più vetusto ed inquinante si possa immaginare. È notizia di questi giorni, infatti, che Lopez Obrador ha concesso un megafinanziamento di 390 milioni di dollari per le miniere di carbone ancora attive. Il suo predecessore Enrique Peña Nieto aveva fissato la chiusura per legge entro il 2026 per rispettare gli internazionali accordi sull'ambiente di queste miniere fuori dal tempo e, invece, grazie all'aiutino di Amlo, rimarranno aperte fino al 2034.

A preoccupare di più, comunque, sono i tentativi di occupazione dello Stato che in questi primi 4 mesi e mezzo di governo ha portato avanti Amlo. «Amlo è come il deragliamento di un treno al rallentatore». La metafora migliore tra gli analisti sentiti da Il Giornale la usa Juan Carlos Hidalgo, analista del Cato Institute, think-tank di Washington secondo il quale la spiegazione è semplice: si stanno cominciando a materializzare i timori della vigilia, ovvero il tentativo di indebolire le già fragili istituzioni messicane e la divisione dei poteri per avviarsi a una personalizzazione del potere nella figura del presidente.

Come? Ad esempio, spiega Hidalgo, «mediante i trasferimenti sociali, dalle pensioni ai buoni alimentari finanche ai sussidi scolastici, che ora sono erogati direttamente dall'ufficio presidenziale, mentre prima di amlo erano decentralizzati». Un accentramento che spiega l'alto tasso di popolarità del nuovo presidente che sfiora il 70% perché ora molti messicani credono che questi sussidi siano arrivati grazie a López Obrador e non allo Stato. Una tendenza pericolosa che lo rende più simile a Chávez, così come avere detto nei giorni scorsi di fronte ai giornalisti nella sua conferenza stampa quotidiana che «solo i leader conservatori sono corrotti». Come se i leader progressisti mondiali fossero geneticamente superiori e per forza onesti.

Insomma, il nuovo idolo della sinistra globalista aveva promesso che, dal primo giorno del suo mandato, avrebbe ridotto la violenza, combattuto la corruzione a spron battuto, tolto l'esercito dalle strade, difeso l'ambiente ma, in realtà, non ha fatto nulla o sta facendo l'esatto opposto e seppur «al rallentatore» il Messico rischia di deragliare.

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