Mezza Europa sta con l'Italia. La riforma buonista è morta

Al vertice in Lussemburgo i no affondano le modifiche al trattato di Dublino: "Prima chiudiamo le frontiere"

Mezza Europa sta con l'Italia. La riforma buonista è morta

Mezza Europa si schiera con l'Italia calando una pietra tombale sulla riforma del famigerato regolamento di Dublino, che puntava ad aumentare il peso dei richiedenti asilo sulle spalle del nostro paese. Il più lapidario è stato il ministro belga, Theo Francken: «La riforma è morta». Ironico il padrone di casa, ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, che ha ospitato ieri il vertice Ue dei rappresentanti dei dicasteri degli Interni e Giustizia. Per Pasqua avremo un compromesso» sulla riforma del regolamento di Dublino «ma non so ancora di quale anno» ha esordito prima della riunione, che prometteva subito tempesta. La presidenza bulgara aveva presentato una proposta capestro che riduceva la solidarietà sul fronte dei migranti ai paesi più esposti come l'Italia, la Grecia e la Spagna. Non solo: come nazione di primo ingresso avremmo dovuto riprenderci per 10 anni i richiedenti asilo che si trasferivano in un altro Paese Ue. Un bidone di fronte al fallimento dei ricollocamenti. A oggi gli altri Paesi dell'Unione hanno preso in carico dall'Italia appena 12.717 rifugiati, poco più di un terzo rispetto ai 34.953 che dovevano essere trasferiti entro fine settembre 2017.

Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, aveva annunciato fin dalla vigilia il no italiano. Spagna, Germania, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca sono stati gli altri 9 schierati al nostro fianco. Se il no dell'Ungheria di Viktor Orban era scontato, lo è stata meno la decisione di Berlino. «Così com'è non possiamo accettare questa riforma» ha esordito il ministro degli Interni tedesco, Stephan Mayer. Dall'Italia Salvini ha sottolineato la vittoria: «Noi avevamo una posizione contraria. Austria Olanda e Germania ci hanno seguito e abbiamo spaccato il fronte. Significa che non è vero che non si può incidere sulle politiche europee».

Il più duro è stato Francken, che a nome del Belgio ha allargato il tiro con una battuta nella nostra lingua. «Noi diciamo come gli italiani: Basta così! Se l'Europa non risolve il problema dell'immigrazione alla base, non ci saranno più né Unione europea né zona Schengen entro cinque anni». Il ministro belga del partito fiammingo va oltre Dublino auspicando un «approccio australiano» ovvero il respingimento in mare dei migranti. Secondo Francken bisogna arrivare ad «uno stop completo dell'immigrazione illegale» con un accordo Ue-Tunisia sul modello di quello con la Turchia. L'obiettivo è che i migranti «partiti dalla Libia possano essere intercettati in mare e portati in Tunisia». Una volta che «le frontiere saranno chiuse, tutti i Paesi mostreranno solidarietà - ha detto - Ma questo non accadrà fino a quando la porta è ancora aperta». In serata gli ha riposto il commissario Ue alle migrazioni Dimitris Avramopoulos: «L'Europa non lo farà, la politica migratoria europea è basata sui principi dei diritti dell'uomo».

La prima a proporre questa linea è stata l'Austria, che assumerà la presidenza Ue il 1° luglio. Anche la Slovenia, che ha appena votato per il centrodestra di Janez Jansa, segnerà una rottura con le mollezze buoniste. Il ministro dell'Interno di Vienna, Herbert Kickl, ha dichiarato che «il consiglio informale a Innsbruck (in settembre, ndr) potrebbe essere usato per cambiare i paradigmi sull'asilo.

Sarà una rivoluzione copernicana».

E stiamo parlando solo di rifugiati. Il vero problema da affrontare, oltre a fermare le partenze, sarà il rimpatrio dei clandestini arrivati in Europa. Per ora solo il 30% viene rimandato a casa.

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