Coronavirus

"La mia non-vita da segregata. E con 3 chili di meno"

La paura chiude lo stomaco e non fa dormire: «Ci aggrappiamo alla speranza via WhatsApp»

"La mia non-vita da segregata. E con 3 chili di meno"

di Patrizia Baffi*

Da venerdì io e mia figlia Lucia viviamo da separate in casa. Stanze e bagni divisi. Guanti alle mani, mascherine alla bocca. A tavola si mangia lontani, ai lati opposti. Ma ormai pranzo e cena non sono più una gioia. Ho perso tre chili. L'angoscia mi blocca lo stomaco. Ci facciamo forza a vicenda, ma è incredibile come le nostre vite stiano cambiando.

Giovedì eravamo felicissime. Lucia studia ingegneria automobilistica. Da un mese era segregata a Modena, studiava aerodinamica, l'esame più difficile. Non vedevamo l'ora di festeggiare il suo trenta e lode. Giovedì non si poteva perché ero a Milano in Consiglio Regionale. Venerdì quella notizia ha cancellato tutto il nostro entusiasmo. Ora Lucia mi guarda e ripete «non sono più contenta» «non c'è più nulla da festeggiare». È stato un bel colpo. Venerdì ho capito subito che c'eravamo dentro fino al collo. Lui, il paziente numero uno come lo chiamano, lo conosco perché facciamo parte dello stesso club podistico anche se da quando sono in Consiglio Regionale non corro più. Il mio primo istinto è stato quello di mettermi al lavoro. Da dieci anni sono anche Consigliere e a Codogno conosco tutti. Ho cercato i suoi amici. Volevo tranquillizzarli, ma anche spiegare che era importante collaborare, cercare di ricostruire tutti i passaggi del contagio. Il brutto è venuto dopo. Non appena ho passato tutti quei dati all'assessorato alla Sanità è incominciata l'angoscia, sono iniziati i pensieri. Difficile distrarsi.

Qualcuno esce, va fuori, gira per il paese. Io no. Sono sempre stata ligia alle regole. A scuola non ho mai preso una nota, nella vita mai una multa. Quindi se dicono di limitare gli spostamenti io lo faccio. Del resto là fuori non c'è un gran mondo. Hanno tutti guanti e mascherina. A volte ti riconosci a stento. E pochi hanno voglia di parlare. Un cenno di saluto e poi via, ognuno per la sua strada. Qualche giornale racconta che la gente esce clandestinamente. Magari era vero fino a domenica, ma da lunedì ci sono i posti di blocco. Qualcuno l'ha fatto per far rifornimento. So di qualche contadino che è andato a metter a posto la sua cascina. Ma da quanto ne so io la grande maggioranza dei miei concittadini sta obbedendo. La cosa peggiore per noi che siamo qui prigionieri sono le polemiche politiche.

Vi prego smettetela non ci aiutano. Ci regalano solo altra angoscia e brutti pensieri. Gli stessi che la notte diventano incubi e ci fanno pensare che non ne usciremo più. Che non ci faranno più uscire da qui. Sono solo incubi ma quando sei sola nel letto è difficile venirne fuori. Penso a mia madre che è anziana, vive sola ed è ancora debole per un'operazione. Penso a Lucia che a volte piange e a volte, invece, riesce a sorprendermi per la sua forza. Penso a quei suoi due o tre amici che hanno fatto il tampone e ora risultano positivi. Ma penso anche ai loro messaggi audio. Lucia ogni tanto me li fa ascoltare. Hanno voci tranquille, trasmettono serenità, invitano gli amici a non preoccuparsi. Mi riecheggiano nella mente riempiono l'oscurità e lentamente mi trascinano fuori dall'incubo. Loro sono le voci della tranquillità. Sono le voci della generazioni che ci aiuterà a dimenticare tutto questo. Sono loro a trascinarmi fuori dagli incubi della notte per ritrovare le certezze del nuovo giorno. Sono la mia iniezione di fiducia. Perché loro cresceranno mentre questo male presto passerà.

* consigliere regionale Lombardia

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