«Sono un populista istituzionale». Dice di sé Michele Emiliano. Entrambe le cose, prese separatamente, sono vere: è un populista ed è dentro le istituzioni. Da decenni.
Emiliano non ne è uscito mai dai palazzi, nemmeno quando ne è uscito. Nel 2003 mollò l'incarico di sostituto procuratore a Bari lasciando alla deriva l'inchiesta su Massimo D'Alema (per poi candidarsi nel partito di Massimo D'Alema) senza mai lasciare la magistratura, incurante delle molli reprimende del Csm. Il suo regno su Bari, dopo il mandato da pm, i due da sindaco e ora il secondo da presidente della Regione, pare non aver mai fine.
Certo, c'è la vocazione populista ante litteram, ma a Emiliano non si può certo negare il fiuto per le alleanze giuste. Lesto a mollare D'Alema quando la sua stella era al tramonto è saltato sul cavallo di un Matteo Renzi nella sua fase più populista, quando si atteggiava a rottamatore proprio di D'Alema, è stato altrettanto lesto a sganciarsi dal leader di Rignano, passando sul sentiero a lui più congeniale, quello che corre parallelo al treno dei grillini.
È in questa fase che Emiliano ha davvero costruito il suo capolavoro: è riuscito a dipingersi come il leader più anticasta all'interno del Pd mentre costruiva la sua forza mettendo insieme tutto il notabilato pugliese più radicato nel potere. Tutto tranne Raffaele Fitto, ex baby prodigio della politica pugliese, ex governatore della Regione, ma anche erede della tradizione politica di famiglia, visto che il papà Salvatore è stato a sua volta presidente di Regione in epoca democristiana.
Emiliano, incurante del suo fisico imponente, è riuscito a saltare ogni ostacolo inciampandoci sopra e rialzandosi con disinvoltura. Come la volta che, mentre si dipingeva come implacabile magistrato chiamato a moralizzare la politica, giocò d'anticipo e si autodenunciò per aver accettato in dono una vasca piena di pregiati frutti di mare di cui sono rimaste nella memoria collettiva cinquanta cozze pelose, per i baresi una prelibatezza sublime, ricevuti in dono a sua insaputa da un re degli appalti alla cui figlia Emiliano aveva appaltato un posto da assessore. E lui che fa? Organizza una conferenza stampa mostrando tutti i regali che ha ricevuto e si dà del «fesso ma onesto»: «Ho avuto l'arroganza di un ragazzino nel gestire il ruolo del sindaco di Bari però sono una persona perbene». In parole povere: non mi dimetto.
E in fondo è questa la forza di Emiliano: non essendo uno che possa passare inosservato, ha fatto di una ostentata teatralità la sua forza, un modo per far dimenticare la disinvoltura nei rapporti con i potentati, la trasversalità delle alleanze, la vaghezza dei programmi politici. E i fallimenti: pochi giorni fa, in piena campagna elettorale, ha ritirato fuori dal cassetto un bando di finanziamento per 800 giovani agricoltori bocciato dal Tar. Lo ha riproposto e ha incassato una nuova bocciatura, lasciando a terra le aziende che contavano su quei fondi europei.
E lui? Come sempre: è inciampato goffamente e si è rialzato come se nulla fosse. Come la volta che improvvisando a favore di telecamera un balletto folk è inciampato e si è rotto il tendine d'achille. Si sa che è il punto debole dei guerrieri possenti.
E lui ha rimediato cancellando il video della goffa caduta con un'immagine ancora più forte: lui sorridente in canottiera populista nel letto d'ospedale. Chi, anche nel Pd, lo vedeva già caduto in questa nuova prova elettorale avrebbe dovuto ricordarsi di com'è bravo a rialzarsi.
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