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Serra ci "obbliga" a cantare "Bella Ciao": "Altrimenti perdi il piacere della libertà"

In un'intervista a La Stampa il compagno Serra parla della percezione divisiva del 25 aprile e degli intellettuali progressisti confusi

Serra ci "obbliga" a cantare "Bella Ciao": "Altrimenti perdi il piacere della libertà"

Per i comunisti la loro ideologia è come Roma: il punto d'arrivo finale di ogni strada. Si sorprendono che il 25 aprile non possa ancora essere considerato un appuntamento unitario e condiviso da tutti, perché non si rendono conto del fatto che il suo significato sono i primi a distorcerlo completamente in favore del "comunismo 2.0", quello iperprogressista "woke" e nemico dei popoli e delle identità.

Così, si dice incredulo Michele Serra "perché una parte consistente di italiani la considera una festa comunista "facendo un grave torto alla verità storica. È la festa dell'antifascismo, che fu un fronte ampio, cattolici, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, azionisti: da quell'alleanza sarebbe poi nata la nostra Costituzione", dice in un'intervista su La Stampa.

Già, la verità storica. Quella dell'eccidio di Porzus, ad esempio. Quella fatta di una convivenza tra le varie sigle della Resistenza mai davvero rinsaldata e mai davvero volta alla coesistenza proprio per via dell'intolleranza dei comunisti e proprio per via del fatto che, fosse stato per i comunisti, il 25 aprile non sarebbe mai stato il trionfo della libertà sulla dittatura bensì la sostituzione di una dittatura con un'altra.

E poi con che verve un comunista di ferro come Serra, iscritto al PCI già nel 1974, parla di festa unitaria quando i primi a dividersi circa il suo senso alla luce della guerra in Ucraina sono proprio i partigiani. O perlomeno i loro eredi.

Il dibattito scatenato dal conflitto all'interno del centrosinistra secondo Serra è "pessimo" e "una caciara irrispettosa e ingombrante, gente con l'elmetto che accusa chi è senza elmetto di essere amico di Putin, tartufi vecchi e giovani che leggono questa guerra come una manovra subdola dell'imperialismo americano". Insomma, predicando l'unità di tutti, Serra si stupisce del fatto che la sinistra faccia quello che ha sempre e solo saputo fare: dividersi.

Poi, il capolavoro. Dice Serra: "L'effetto, quasi grottesco, è che una guerra nazionalista fatta nel nome dei valori della Tradizione, che avrebbe dovuto mettere in difficoltà soprattutto la destra sovranista, ha lacerato la sinistra. Ho un forte sospetto. Che nella sinistra italiana ci sia una forte dose di scemenza. Con noi sedicenti intellettuali al primo posto in graduatoria".

Ecco, finalmente un mea culpa. Dal quale ripartire non pensionandoli come sarebbe naturale, bensì ascoltandoli con ancor più fede.
In sostanza, Serra fa la radiografia ai motivi per cui la sinistra non funziona, proponendo come soluzione "più sinistra".

La spaccatura interna al loro mondo nasce da "un forsennato ideologismo" con due tribù ideologiche, il fondamentalismo occidentale da una parte, il disprezzo per la democrazia decadente e corrotta dall'altro, che si contendono la leadership. Ma la colpa di chi è? Della destra. E della guerra come concetto di destra poiché "è la smentita più evidente al concetto di Progresso. La guerra è antica: è il primo dei Valori Tradizionali. E il concetto della Nazione è solo un'evoluzione del concetto di tribù".

Quindi, la guerra è di destra, ma quella partigiana dobbiamo esaltarla tutti. La sinistra non si mette più d'accordo nemmeno sul 25 aprile, e la nostra risposta dovrebbe essere fidarsi sempre di più della sinistra. Gli intellettuali progressisti non ne azzeccano una, ma le loro ricette devono continuare ad essere stelle polari. Sembra un po' confusionario, ma niente paura, perché a fare da collante a questa apologia della contraddizione, c'è l'immancabile Bella Ciao, il preferito di Netflix, lo spartito che i prof. di musica vogliono insegnare agli alunni, il canto che le istituzioni locali vogliono trasformare in un gioco per bambini. E che Michele Serra, ovviamente, adora: "Io la canto volentieri. Chi non la canta, non sa che cosa perde. Perde il piacere della libertà".

Quella che avrebbero voluto portarci i suoi cantori, trasformandoci nella Repubblica Socialista Sovietica d'Italia.

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