Siamo alle solite. O, meglio, siamo a Bruxelles all'apertura di un Consiglio europeo in cui - attenuatasi la morsa della pandemia - si torna a parlare di migranti. Che sarebbe come dire nessuna novità. Se non fosse che a parlarne è, stavolta, Mario Draghi uno dei pochi premier italiani capaci di farsi ascoltare in Europa. Ma, anche per lui, non sarà facile districarsi nella mota di Bruxelles. Anche perché il tema ricollocamenti, che Draghi annuncia di voler «risvegliare», è uno di quelli su cui più pesa il fango del pantano europeo. Un pantano in cui da tempo si respira l'odore della beffa. Era il settembre del 2015 quando un altro Consiglio europeo s'impegnò a ricollocare 40mila richiedenti asilo approdati sui lidi italiani. Un progetto, a tutt'oggi, mai andato in porto. E lo stesso dicasi per i ricollocamenti concordati a Malta nel settembre 2019 dal ministro dell'interno Luciana Lamorgese. A quel tempo il neonato governo giallorosso ce li vendette come la soluzione finale. Peccato che 19 mesi e 24mila e passa sbarchi dopo il totale dei migranti presi in carico dai partner europei non superi il migliaio mentre l'ultima «consegna» ai cosiddetti partner «volenterosi» risalga all'era pre-pandemia.
Draghi si prepara, insomma, a rispolverare un argomento assai insidioso su cui l'Italia è stata ripetutamente presa in giro e sul quale solo la sua autorità offre speranze di novità. Certo quell'autorità unita all'appoggio di una Spagna alle prese con l'emergenza di Ceuta e di una Grecia costretta a misurarsi con le ondate in arrivo dalla Turchia potrebbero far la differenza. Ma non speriamoci troppo. Draghi oltre a vedersela con il blocco di Visegrad e i paesi del Nord Europa deve fare i conti con la riluttanza della Cdu tedesca del dopo Merkel e con quella dell'«amico» Emmanuel Macron. La Cdu, abbandonata da una Cancelliera pronta alla pensione, rischia - alle elezioni del 26 settembre - la più terribile débâcle della sua storia e non può permettersi eccessive concessioni sul tema accoglienza. Lo stesso dicasi per Macron costretto - in vista delle presidenziali del 2022 - a dimostrare sui migranti la stessa decisione di una Marine Le Pen pronta a infliggergli, almeno al primo turno, una durissima lezione.
Se il tema ricollocamenti è spinoso quello dei finanziamenti alla Libia per ripristinare i controlli sulle frontiere meridionali del paese non lo è da meno. Finché il trattato di Dublino derubricherà ai paesi rivieraschi la gestione dei migranti nessun paese dell'Europa continentale sentirà infatti l'urgenza di investire nuovi fondi nel pozzo nero della Libia.
E lo stesso dicasi per il terzo argomento messo in agenda da Draghi, ovvero il ruolo dell'Onu.
È chiaro che le Nazioni Unite sarebbero le prime a doversi occupare della sicurezza dei migranti gestendo in prima persona i salvataggi al largo delle coste libiche e garantendo poi attraverso i «caschi blu» la protezione dei disgraziati riportati nei campi e il loro successivo rimpatrio. Ma fino ad oggi l'impegno dell'Onu sul fronte libico è rimasto un'utopia. E neppure l'autorità e l'impegno di Draghi basteranno, probabilmente, a trasformarlo in realtà.
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