Calunniate, qualcosa resterà. Una frase attribuita a Rousseau, a Voltaire e da qualcuno anche a Lenin, personaggio che Vladimir Putin è solito deprecare (lui preferisce Stalin), accusandolo di aver inventato dal nulla quell'Ucraina che lui ha deciso di cancellare dalle carte geografiche. Anche a Putin, come a tutti i dittatori, piace calunniare: è riuscito a inventarsi che l'Ucraina di oggi sia uno Stato nazista, e che le truppe russe da lui inviate siano lì per ripulirla dall'infamia dell'hitlerismo. Del resto, ogni guerra d'aggressione ha bisogno di una giustificazione, e la propaganda serve a inculcarla nelle menti dei connazionali sudditi. Ecco dunque l'ultima pensata del cosiddetto zar: dei bei filmati di propaganda da rifilare nei cinema a chi, magari, ci è andato con moglie e figli per distrarsi con una commedia o con i cartoni animati.
Ciak, si vince. Ed ecco pronti due «ukase», ordini esecutivi in perfetto stile zarista o staliniano, diretti uno al ministro della Cultura e l'altro a quello della Difesa. Il primo avrà tempo fino al 1° febbraio per garantire che nei cinema di tutta la Russia vengano presentati documentari dedicati alla lotta contro «l'ideologia neonazista» e alla conseguente (secondo la martellante propaganda del Cremlino sintetizzata dalla misteriosa, ma non poi tanto, lettera Z, che sta per Zelensky) invasione dell'Ucraina. Il secondo dovrà invece occuparsi della durata nel tempo di questi sforzi destinati al Minculpop moscovita: suo compito sarà dunque di riferire al presidente, entro il 1° marzo, di come sarà stato implementato il suo ordine di organizzare accoglienza e assistenza, al fronte e nelle basi militari sparse in tutto l'immenso Paese, ai cineasti russi che lavoreranno per produrre i filmati dedicati all'«operazione militare speciale» (chiamarla col suo nome, cioè guerra, è sempre severamente vietato, non parliamo dell'uso del termine «invasione»).
In realtà, come ben sappiamo qui in Occidente e come deve ormai apparire sempre più chiaro anche a molti russi, nonostante i ciak non si vince un bel niente. La propaganda serve proprio a nascondere una serie continua di imbarazzanti fallimenti, riempiendo le teste dei cittadini sudditi di chiacchiere trionfalistiche: è lo stile di tutte le dittature, come ricordano i più anziani fra i russi, ma anche gli italiani e i tedeschi che vissero sotto Mussolini e Hitler. Serve a eccitare le menti dei giovani favorendo indispensabili arruolamenti, considerato che (recente stima delle intelligence occidentali) Putin si accinge a far sopportare al suo popolo altri settantamila caduti in Ucraina da qui alla prossima primavera. Serve, inoltre, a ricordare a tutti che nella Russia di oggi non c'è spazio per altro che non sia la voce del padrone. Lo ricordano, oltre agli imminenti lavaggi del cervello nelle sale cinematografiche, i programmi di televisioni ormai definitivamente asservite al potere, dove i film raccontano l'eroismo della Russia e la sua giusta lotta contro una metà del mondo dedita ad assediarla per snaturarla, e i dibattiti sono organizzati per dar sempre ragione a chi, per definizione, deve averla comunque.
È una lotta sempre più serrata tra verità e menzogna.
Una lotta che, dopo la recente umiliazione subita a Makiivka dall'esercito russo con il massacro di centinaia di soldati appena mobilitati, diventa per Putin questione di vita o di morte: se perfino i suoi blogger più fedeli osano muovere critiche, bisogna alzare al massimo il volume della propaganda.
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