Anna Rita Lo Mastro, mamma di David Tobini, parà della Folgore morto in Afghanistan il 25 luglio 2011 durante una missione operativa, scrive questa lettera accorata dopo aver appreso la notizia del possibile ritiro del contingente italiano da quella terra.
Come ogni mattina vado a trovare la tomba di mio figlio e, accendendo la radio, ascolto al telegiornale: «Nell'arco dell'anno saranno ritirati i militari italiani dalla missione in Afghanistan». Mi trovo proprio davanti a un corpo senza vita. Approfondisco e apprendo che si tratta di una valutazione richiesta dal ministro della Difesa, ma apprendo anche che sono in corso trattati per un accordo di pace tra Usa e talebani. Leggo altri titoli di giornali: «L'Afghanistan vede la pace». La vorrei vedere questa pace, nel cui nome è morto anche mio figlio, insieme ad altri 53 soldati italiani.
Pochi giorni fa, il 21 gennaio, un commando di uomini armati ha preso d'assalto il compound del viceministro per i disabili e i martiri a Kabul, un veicolo imbottito di esplosivo è saltato in aria nelle vicinanze del cancello di ingresso. Ancora prima, il 2 gennaio, un razzo Rpg è stato lanciato contro un veicolo blindato Lince non lontano da Herat, nell'Ovest dell'Afghanistan, dove i militari italiani erano impegnati in un'attività di addestramento. Ancora prima, le stragi di Natale e del novembre scorso a Kabul, perfino durante una cerimonia religiosa. Dov'è questa pace?
Bisogna ricordare alle istituzioni che ai morti non si manca di rispetto, soprattutto i «Loro» morti, caduti per loro volere. Quindi, vi richiedo: «Abbiamo raggiunto davvero la pace in Afghanistan?». Oppure questi annunci spot sono un bilancio tra costi e benefici e ci siamo dimenticati di quante bare e quanti funerali hanno pesato su uno Stato, che lo stesso giorno si è congedato dai propri doveri? Eh no, cari signori, il sangue dei nostri figli non è scorso invano, come voi ogni giorno dimostrate. Lo dimostrate con queste notizie e con tante chiacchiere, attraverso cui sperate forse di allargare il vostro elettorato. Domande a cui non seguono risposte.
Ce li avete riportati, senza neanche sapervi prendere le vostre responsabilità, non avete il coraggio della verità, la stessa che abbiamo cercato e trovato da soli. Siete diventati latitanti. Attendiamo risposte, perché vi ricordo che chi ha perso i figli per merito vostro è vivo e ascolta. Peccato che vi siete dimenticati anche di questo, ma noi siamo vivi e la vostra vergogna rimane come un'eco nelle nostre orecchie. Rispettate il rosso di quella bandiera, perché quel rosso è il sangue di chi per voi lo ha fatto scorrere sulla sabbia di quel Paese, tutt'ora in guerra. E se la missione fosse fallita? Come d'altronde racconta la stessa Bala Mourghab bombardata, distrutta e off-limits anche per me, madre, che avrei voluto portare un fiore sul luogo dove cadde mio figlio. Ma mi fu proibito per «motivi di sicurezza», o come dite voi per i warning. Quella è una terra martoriata e ora qualcuno si deve assumere le proprie responsabilità e rispondere senza «se» e senza «ma». Siamo stanchi e non faremo umiliare i nostri figli da istituzioni ingrate.
Se poi davvero come dite in Afghanistan è scoppiata la
pace, come ci auguriamo per quella terra, allora ditelo a chiare lettere. Così i nostri figli non sono morti invano. E noi saremo liberi di andare in Afghanistan e portare quel fiore lì dove i nostri figli se ne sono andati.
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