Monza - Diceva Chesterton che la cosa più incredibile dei miracoli è che qualche volta accadono davvero. Qui il prodigio è il Parco più grande d'Europa improvvisamente troppo piccolo. Il colpo d'occhio affascina e insieme sgomenta: da dove sarà sbucata quella folla che, in un gioco ottico, sembra premere sull'orizzonte lontano? Seicentomila, settecentomila, un milione secondo gli organizzatori. Famiglie. Mamme temerarie con i passeggini. Migliaia e migliaia di giovani per la delizia dei sociologi che considerano il cristianesimo lombardo una reliquia del passato. Oggi, almeno oggi, non è così e Francesco passa e ripassa con la papamobile dal tettuccio trasparente in mezzo a quell'umanità, il suo popolo, per benedire, salutare, incoraggiare.
Avanti e indietro per la spianata pettinata, divisa in tantissimi settori, in ritardo sulla forsennata tabella di marcia. Poi su per le scale, verso il maxipalco per celebrare la messa dell'Annunciazione con quaranta vescovi e decine di sacerdoti. Quando comincia a parlare, Francesco ha il fiatone ma si riprende in fretta. «L'annunciazione di Gesù - spiega - avviene in un luogo sperduto della Galilea, in una città periferica e con una fama non particolarmente buona, nell'anonimato di una giovane chiamata Maria». Poche parole in cui è riassunta la sua pastorale: del resto la giornata ambrosiana è iniziata nella Milano per nulla scintillante e per niente trendy di via Salomone.
Periferia è la prima parola chiave. Poi però il Papa introduce un altro vocabolo: la memoria. La memoria è una bussola strana ma preziosa: si guarda indietro per andare avanti. «Questa terra e la sua gente hanno conosciuto il dolore delle due guerre mondiali, e talvolta hanno visto la loro meritata fama di laboriosità e civiltà inquinata da sregolate ambizioni. La memoria ci aiuta a non rimanere prigionieri di discorsi che seminano fratture e divisioni come unico modo di risolvere i conflitti. Evocare la memoria è il migliore antidoto a nostra disposizione di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell'estraniamento».
Parla ai milanesi il Papa, ma pare proseguire idealmente il discorso tenuto sabato sera ai 27 capi di Stato e di Governo convenuti a Roma. A loro Francesco aveva spiegato che «all'origine della civiltà europea c'è il cristianesimo», sottolineando il «vuoto di memoria» che si fa vuoto d' identità. Di carisma. Di appeal. Quell'Europa, blindata nei suoi palazzi, appare lontanissima da quella che si è raccolta qui, a pochi passi dall'autodromo in cui sfrecciano i bolidi e dalla Villa in cui la storia si fece tragedia con l'assassinio di re Umberto.
La memoria, ripete il papa, è una risorsa per navigare in questi tempi difficili fra crisi economica, muri che si alzano, angosce che sformano antiche consuetudini di accoglienza. No, non può finire così, sembra voler dire il Papa: «Il popolo non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; il popolo non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perchè sa che li è presente il suo Signore».
Si può provare a leggere questa esortazione con le solite categorie della politica: la destra e la sinistra con Francesco schierato nell'armata progressista. Ma con tutta onestà sono categorie che si dissolvono su questo prato, davanti a questi facce normali ma non omologate. Così come interpretano solo un pezzo della realtà le analisi circolate sulle ragioni di questo viaggio. Si, certo Bergoglio non era mai venuto a Milano e molti avevano sottolineato la freddezza nel rapporto con il cardinale Angelo Scola, presunto rivale nel conclave, e più in generale con la chiesa ambrosiana e italiana. La giornata serve per ricucire quello strappo, Francesco abbraccia l'Arcivescovo di Milano che lo ringrazia, si commuove e paragona Il Parco di Monza «a una cattedrale a cielo aperto». Ma quella moltitudine sconfinata svela altro: un' Italia sempre sul punto di essere archiviata e invece presente, antica, in bianco e nero secondo le teorie dei benpensanti, a tratti senza voce e senza rappresentanza, ma ancora viva. E con il desiderio di costruire qualcosa di più grande. Bergoglio corre come un puntino verso San Siro, ultima tappa di un programma estenuante, i pellegrini si salutano, si abbracciano e iniziano il lento ritorno verso le loro case.
Chi scrive aveva visto una folla del genere solo una volta: al santuario di Czestochowa il giorno di Ferragosto, festa dell'Assunta. Ma era la Polonia degli anni Ottanta, con gli striscioni di Solidarnosc e il comunismo ancora in sella. Un'altra storia. Oggi a Monza potrebbe cominciarne un'altra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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