Coronavirus

Il Missouri fa causa alla Cina. Così cresce l'onda anti-Pechino

Lo Stato Usa: nascoste informazioni. La replica: assurdo. Accuse da Germania, Francia, Regno Unito e Australia

Il Missouri fa causa alla Cina. Così cresce l'onda anti-Pechino

Ora tutti contro la Cina. I Paesi di mezzo mondo ora presentano il conto a Pechino. Vogliono capire da dove è partito il maledetto virus che sta infettando popoli ed economia, vogliono sapere dati e cifre esatte.

Alla lunga lista si aggiunge ora lo Stato americano del Missouri che ha citato in giudizio la Cina accusando il governo di aver occultato le informazioni sul Covid-19, di fatto causando danni economici e sociali «irreparabili» per gli Usa e per il mondo intero. Il procuratore generale del Missouri, il repubblicano Eric Schmitt, sostiene che la pandemia è «il risultato diretto delle azioni intraprese dal regime del presidente cinese Xi Jinping». Ci sono già state diverse azioni legali presentate contro la Cina, ma il Missouri è il primo Stato a farlo e a «tradurre» in passi concreti le accuse del presidente, Donald Trump. «Durante le settimane decisive e iniziali dell'epidemia», si legge nella denuncia, «le autorità cinesi hanno ingannato l'opinione pubblica, occultato le informazioni cruciali, arrestato gli informatori anonimi, negato la trasmissione da uomo a uomo di fronte a prove crescenti, distrutto la ricerca medica critica, permesso a milioni di persone di essere esposte al virus e persino accumulato dispositivi di protezione individuale, causando così una pandemia globale che non era necessaria ed era prevenibile». Schmitt chiama in causa articoli del New York Times, del Wall Street Journal, del Washington Post, persino un link a un articolo di Breitbart, popolare sito dell'estrema destra americana. E ricorda che prima della pandemia, il Missouri aveva uno dei tassi di disoccupazione più bassi dell'ultimo decennio, che invece «ora è il più alto dalla Grande Depressione». L'entità del risarcimento non è specificato ma c'è una richiesta di indennizzo «per l'enorme perdita di vite umane, la sofferenza umana ed economici». Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha ricevuto delle azioni legali da parte di cittadini americani per «collusione con la Cina». Pechino del resto ha già risposto: il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ha ricordato come le misure adottate dalla Cina siano «al di fuori della giurisdizione dei tribunali americani»; definendo «questa cosiddetta denuncia, che non si basa su fatti o prove, completamente assurda».

Intanto però il passo è la prova del sentimento di rabbia dilagante in Usa contro il gigante asiatico: secondo un recente sondaggio due americani su tre hanno un'opinione negativa della Cina, il cui gradimento è sceso ai minimi storici nello scorso mese di marzo. Xi Jinping, secondo il sondaggio, è ritenuto inaffidabile dal 71% dei cittadini. La Cina non aveva mai segnato un rating così basso dal 2005.

Un fastidio crescente manifestato anche dalla Germania. Il tabloid tedesco Bild ha accusato la Cina della diffusione del coronavirus sostenendo che Pechino debba alla Germania 162 miliardi di dollari come risarcimento. L'ambasciata cinese a Berlino ha immediatamente reagito indignata, chiedendo le scuse del direttore di Bild. Ma il direttore, Julian Reichelt ha, invece, deciso di replicare scrivendo una lettera aperta a Xi Jinping sicuramente destinata a sollevare ulteriori polemiche. Non solo: a scendere in campo anche Angela Merkel che ha chiesto più chiarezza sull'origine del coronavirus da parte di Pechino. «Credo che più la Cina sarà trasparente sulla storia delle origini del virus, meglio sarà per tutto il mondo per imparare da essa» ha detto.

Anche l'Australia, si aggiunge alla lunga lista di Paesi dubbiosi sull'operato di Pechino, oltre alla Francia e Gran Bretagna e insieme alla Geremania, hanno chiesto un'indagine che tenga conto anche delle battute iniziali e sull'azione dell'Oms, tutte richieste che la Cina bolla con «irrispettose».

E in Italia si è mosso l'imprenditore Roberto Bernardelli, titolare di due alberghi a Milano e presidente del movimento politico «Grande Nord»: «Faccio causa alla Cina e chiedo il sequestro dei loro beni in Italia».

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