L'americana Michael Kors si compra Versace, icona della moda italiana ed emblema degli Anni '90 e dell'epoca d'oro delle top model, nel tentativo di costruire un impero del lusso globale come quello dei colossi francesi che, nel corso degli anni, si sono spartiti la maggior parte degli storici marchi tricolore. Wall Street tuttavia non è convinta che si tratti di un buon affare: Michael Kors, alle 19.00 ore italiane, perde l'8,2 per cento.
L'annuncio avverrà stamattina, ma dopo le indiscrezioni del fine settimana, la partita sembra chiusa. Il gruppo Usa, che solo un anno fa aveva acquisito le scarpe dallo stiletto vertiginoso di Jimmy Choo, ha vinto al fotofinish la concorrenza di Tapestry e di altri marchi del lusso globale come Tiffany, Lvmh e Kering. Per convincere i Versace, a cui fa capo l'80% del capitale della maison, Blackstone ha assicurato valutazioni vertiginose, una quota di minoranza e, a quanto pare, la direzione creativa del gruppo.
Il prezzo non è noto, quanto meno ufficialmente. Si parla tuttavia di una valorizzazione della maison fondata da Gianni Versace pari a 2 miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro) ovvero 113 volte gli utili, tre volte le valutazioni di Hermes, tradizionalmente punto di riferimento per l'alta gamma. D'altro canto, quattro anni fa, il fondo Blackstone aveva rilevato il 20% della società valutandola 1,2 miliardi di dollari, cento volte gli utili dell'epoca.
Il brand della Medusa ha chiuso il 2017 con un utile consolidato di 15 milioni, rispetto alla perdita di 7,4 milioni dell'anno precedente, grazie anche a 10 milioni generati da un'operazione finanziaria, un utile operativo di 5,1 milioni (da 3,6 milioni), vendite invariata a 668 milioni e un debito netto si è attestato a 10 milioni. Nonostante la crescita e il ritorno all'utile ottenuto anche con la guida dell'ad Jonathan Akeroyd assunto nel 2016 e proveniente da Alexander McQueen, non si tratta certo di dati tali da poter trainare al rialzo le valutazioni in caso di una quotazione, soprattutto in tempi di incertezza e volatilità come quelli attuali. E infatti il fondo Blackstone, che pure quattro anni fa si era assicurato un'opzione di acquisto sulla rimanente parte del capitale per gestire un eventuale collocamento, ha convinto la famiglia a trovare nuovi acquirenti in grado di rilevare la propria partecipazione, apportare capitali e investire nella crescita del gruppo. La quota in mano alla famiglia fa capo al veicolo GiVi che è per il 30% di Santo, per il 20% di Donatella e per il 50,01% di Allegra Versace Beck, nipote del fondatore e sua erede.
Per la moda italiana si tratta di un altro brand in fuga e potrebbe non essere l'ultimo. In gran parte infatti le società della moda che hanno portato alla ribalta il made in Italy nel mondo sono aziende famigliari per cui, prima o poi, si pone il problema del passaggio generazionale. Da Giorgio Armani a Brunello Cucinelli, da Salvatore Ferragamo, che secondo le indiscrezioni di sarebbe nel mirino dei fondi di private equity, fino a Tod's e a Geox, all'Italia non manca certo il «fashion». A latitare sono invece i fondi necessari a mantenere la moda entro i confini nazionali ed, eventualmente, espandersi all'estero. Le eccezioni sono rare. In Missoni, ad esempio, a inizio estate, è entrata la Cdp che parrebbe intenzionata a replicare l'operazione con Trussardi.
In cerca di soci invece Roberto Cavalli (al momento controllato da Classidra), mentre Dolce & Gabbana e Nero Giardini avrebbero rifiutato finora le avances proposte ai rispettivi fondatori. In controtendenza Ermenegildo Zegna che, ad agosto, ha acquisito l'americana Thom Browne.
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