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Il mondo appeso alle scelte di Donald

Neppure al Cremlino possono dirsi certi di una svolta a loro favorevole

Il mondo appeso alle scelte di Donald

Viviamo giorni speciali, in cui - in un certo senso - si decidono le sorti del mondo per i prossimi quattro anni. Donald Trump sta andando a scuola, cioè viene gradualmente iniziato al funzionamento della Casa Bianca e messo a parte di molte informazioni riservate, compreso l'uso del famoso bottone con cui il presidente degli Stati Uniti potrebbe fare uso del deterrente nucleare. Ma intanto, prima ancora di avere avuto il tempo di leggere le relative documentazioni del Dipartimento di Stato, deve ricevere le telefonate di quasi tutti i leader del mondo, da Putin ad Al Sisi, da Netanyahu a Theresa May, dal presidente cinese Xi ad Angela Merkel. Contemporaneamente, il suo transition team, la squadra incaricata di gestire il trasferimento dei poteri da una amministrazione all'altra, tiene riunioni sempre più tempestose per decidere l'assegnazione dei 14 dicasteri e dei molti posti di sottosegretario.

Quello che avviene nelle segrete stanze della Trump Tower sta tenendo il resto del mondo, ed in particolare l'Europa, con il fiato sospeso. Tenuto conto anche della inesperienza del nuovo presidente in materia di relazioni internazionali, la scelta dei Segretari di Stato, del Tesoro e della Difesa può avere una influenza determinante sui principali problemi su cui, durante la campagna elettorale, ha fatto dichiarazioni controverse: in primo luogo i rapporti con la Nato, una possibile apertura alla Russia, il futuro dei trattati commerciali e di quello per la limitazione dei gas serra. Nei mesi scorsi Trump ha chiamato la Nato «obsoleta», ha chiesto agli alleati un maggiore contributo finanziario e militare per assicurare la loro difesa e ha perfino espresso dubbi sull'art.5, che impegna tutti i membri a correre in difesa di un Paese aggredito (finora è stato invocato una sola volta, e proprio a favore degli Stati Uniti, dopo l'11 settembre).

Ieri due ex segretari generali, l'olandese Scheffer e il danese Rasmussen, hanno manifestato apertamente l'inquietudine che regna nell'alleanza, chiedendo al più presto un vertice straordinario con Trump per conoscere le sue reali intenzioni, soprattutto sul sostegno alla sovranità territoriale dell'Ucraina, Crimea compresa. Eguali preoccupazioni sono state espresse anche da influenti personalità repubblicane, a partire dal sen. McCain e da Rudy Giuliani. Ma anche tra i più stretti collaboratori del neopresidente c'è preoccupazione che egli accetti un accordo al ribasso con Putin, che potrebbe incoraggiare lo Zar a una politica sempre più aggressiva. Se si arrivasse a una specie di nuova Yalta, sarebbe una svolta radicale nella politica americana, che metterebbe in gravi difficoltà oltre all'Ucraina - soprattutto i Paesi Nato che facevano una volta parte del patto di Varsavia.

Per quanto riguarda la deriva protezionista, si parla di un piano di 200 giorni per rinegoziare il Nafta, l'Unione doganale con Messico e Canada che ha distrutto molti posti di lavoro negli Usa, e per mettere fine alle «importazioni sleali», presumibilmente dalla Cina. Sarebbe un'autentica rivoluzione, con ripercussioni non soltanto sul Messico, la cui moneta è già precipitata, ma per il mondo intero. In tema di ambiente, non ci sono novità rispetto a quando Trump definì il riscaldamento del pianeta ad opera dell'uomo una invenzione e promise il rilancio del carbone e degli idrocarburi. Qualcuno sostiene che su questo punto Obama sia riuscito ad ammorbidire il suo successore, ma una revisione degli impegni presi a Parigi comporterebbe il tradimento di una promessa elettorale decisiva per assicurare la vittoria di Trump.

Uno degli interrogativi che il mondo si pone è proprio questo: quanto può allontanarsi Trump, una volta che avrà preso conoscenza di documenti che allora ignorava, dalle promesse fatte ai suoi elettori senza provocarne la rivolta? E comunque, quanto è disposto a farlo, visto che nella confusione che regna nel transition team, sembrano per il momento prevalere gli elementi più conservatori? Per ora, non c'è nessun segnale chiaro in materia: la futura politica americana rimane per usare l'espressione di Churchill un enigma avvolto nel mistero.

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