Cronache

La morte di Marco Vannini fu un omicidio volontario Ciontoli: "Chiedo perdono"

L'uomo condannato a 14 anni, moglie e figli a 9. La madre della vittima: "La giustizia esiste"

La morte di Marco Vannini fu un omicidio volontario Ciontoli: "Chiedo perdono"

Ha provato in extremis a salvare dalla condanna i suoi familiari addossandosi ogni responsabilità della morte di Marco Vannini, il ventenne lasciato agonizzante nella vasca della sua casa di Ladispoli dopo essere stato colpito da un colpo di pistola. Ma il ravvedimento tardivo di Antonio Ciontoli, non ha salvato lui, e neanche la sua famiglia, da una condanna pesante.

È stata la Corte d'Assise d'appello di Roma ad emetterla: 14 anni per il sottufficiale della Marina Militare che nel maggio del 2015 ha premuto per uno stupido gioco il grilletto della sua Beretta e ucciso il fidanzato di sua figlia mentre era in bagno a farsi la doccia e 9 anni e 4 mesi per la moglie, Maria Pizzillo, e per i due figli Federico e Martina, che quel giorno non fecero nulla per soccorrere il giovane tempestivamente. Se lo avessero fatto Marco si sarebbe salvato. Invece, nonostante le urla del ragazzo, nessuno della famiglia Ciontoli si adoperò per aiutarlo, piuttosto persero tempo prezioso per cercare di coprire l'accaduto e non danneggiare la loro immagine. I giudici hanno riconosciuto l'omicidio volontario con dolo eventuale per Ciontoli e il concorso anomalo in omicidio volontario per moglie e figli. «È una grande emozione. Finalmente, dopo più di 5 anni, abbiamo dimostrato quello che era palese dall'inizio: se Marco fosse stato soccorso subito non saremmo qui. Ma è la dimostrazione che la giustizia esiste. Ciontoli non deve chiedere perdono a noi, ma a sé stesso. Non so quale era la strategia dietro quelle parole. Questa è una sede di giustizia e non di vendetta», commenta Marina Conte, la mamma del giovane, che non si è mai rassegnata con il marito dopo che un altro collegio della Corte d'Assise d'appello ritenne l'imputato responsabile del più lieve reato di omicidio colposo riducendo la prima condanna da 14 a 5 anni di carcere (3 anni agli altri).

Prima della sentenza Ciontoli prova a sorpresa a giocarsi la carta delle dichiarazioni spontanee e ad alleggerire la posizione della sua famiglia: «So di non essere la vittima ma il solo responsabile di questa tragedia. Sulla mia pelle sento quanto possa essere insopportabile, perché innaturale, dover sopportare la morte di un ragazzo di vent'anni, bello come il sole e buono come il pane. Mi appello al beneficio del dubbio. Chiedo perdono per quello che ho commesso e anche per ciò che non ho commesso. I miei familiari non meritano di essere giudicati e condannati per la mia colpa». Parole che non hanno scalfito le convinzioni della Corte. La sentenza è arrivata in poco più di un'ora, dopo l'illuminante requisitoria del sostituto pg Vincenzo Saveriano, secondo il quale questo processo è stato caratterizzato «da menzogne, bugie e reticenze messe in atto dai Ciontoli e finalizzate a trovare una linea comune che potesse inquinare le prove». «Obiettivo di tutti, a costo di assistere alla morte per dissanguamento di un ragazzo di 20 anni - per il pg - era evitare che si corresse il rischio che Ciontoli perdesse il posto di lavoro. Un secondo dopo lo sparo tutti avrebbero dovuto chiamare i soccorsi. E invece nessuno lo ha fatto».

Tesi accolta in pieno dai giudici. Una liberazione per i genitori di Marco, che hanno appreso la sentenza in lacrime, abbracciando in aula chiunque fosse a tiro. Con la consapevolezza che la battaglia non è ancora finita.

Perché ora si torna in Cassazione.

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