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La morte della piccola Indi e il diritto che riguarda tutti

La bimba non ha potuto essere accudita nella sua casa. Che ne è di noi se non riusciamo più a prenderci cura della vita?

La morte della piccola Indi e il diritto che riguarda tutti

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La piccola Indi è morta, ma non nella sua casa, tra le braccia di chi l'aveva voluta e amata fin da prima del primo test di gravidanza, del primo capogiro di mamma, della prima ecografia. Se n'è andata senza che la sua morte potesse essere accolta come lo era stata la sua venuta. Ne aveva il diritto, ma se tanti sono i diritti disattesi, questo è il più disatteso di tutti: la morte (cioè la vita) accolta, la morte (cioè la vita) accudita. Sembra proprio che il motto cinico «si muore da soli» sia il più vero: eppure, qualcosa in noi grida ugualmente: no, no, non è così!

La cronaca è tutta piena di morti senza abbraccio, vittime innocenti, bambini, giovani ignari. Lo vediamo ogni giorno, in Israele e a Gaza dal 7 di ottobre, in Ucraina dall'anno scorso. Famiglie distrutte, bambini uccisi, giovani mandati a morire a migliaia da un autocrate.

La piccola Indi è l'emblema di questo diritto tanto universale quanto calpestato. Mio nonno ebbe il privilegio di morire con la mano stretta nella mano di sua figlia. La sua vita non era stata irreprensibile, e i rapporti con questa figlia erano stati spesso burrascosi. Ma ebbe la fortuna di morire nel proprio letto, vicino a lei. Sicuramente, Indi meritava questa sorte più di lui.

C'è chi lotta per il diritto alla vita, chi per i diritti legati al tema del gender, chi per le donne iraniane e chi per conservare il crocefisso nelle scuole, e così via. E una domanda nasce spontanea: se è giusto impegnare la propria vita nella difesa di un diritto negato, questa difesa si può dire sincera se non comprende, almeno intenzionalmente, tutti i diritti? Che tutti i diritti, alla fine, ci riguardano in prima persona?

È una cosa dura e difficile da capire, questa, perché quasi tutti ragioniamo secondo il piccolo pezzo di mondo al quale apparteniamo: classe sociale, banda, comunità, partito ecc.; si chiama ideologia, e non vero pensiero, perché il pensiero comincia quando oltrepassiamo il confine del nostro recinto - di tutti i recinti culturali - e ci avventuriamo in campo aperto, sfidando il fuoco nemico e quello amico.

In un mondo sempre più meticcio è inevitabile che gli interessi confliggano, ma una soluzione a livello solo istituzionale o giuridico è fallimentare in partenza. Le regole sono necessarie, ma prima di decidere le regole dobbiamo decidere chi e cosa vogliamo essere, e il credito che intendiamo dare a chi è diverso da noi.

Non c'è situazione peggiore di quella in cui tutte le parti in conflitto hanno ragione. A Gaza, come in Ucraina, tutti i contendenti hanno le loro ragioni, e queste ragioni (per quanto buone) portano al disastro.

E allora?

Nel suo ultimo spettacolo, Condominio mon amour, Giacomo Poretti si domanda chi si prenderà cura degli altri quando a dominare il mondo saranno le macchine e gli algoritmi. La vicenda di Indi pone una domanda proprio a questo livello: che ne sarà di noi, quando vedremo riconosciute tutte le nostre ragioni e i nostri diritti, ma non saremo più capaci di prenderci cura della vita, che un mistero indefinibile ma più reale di ogni realtà continua a evocare, per noi, dal nulla?

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