Un anno fa, di questi tempi, le bombe e i missili americani minacciavano di far traballare il regime di Bashar al-Assad e aprire ai suoi nemici la strada per Damasco. Oggi le stesse bombe e gli stessi missili potrebbero diventare la panacea indispensabile per fermare l'avanzata dello stato islamico e restituire a Damasco la sovranità su vaste regioni minacciate dalle offensive degli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi.
A farlo capire - senza troppi giri di parole - ci pensa il ministro degli esteri siriano Walid Al Muallim spiegando che il suo paese sarebbe pronto a consentire azioni militari «della Gran Bretagna e degli Usa» sul proprio territorio a patto di un preventivo «pieno coordinamento con il governo siriano». La collaborazione - secondo Al Muallim - potrebbe prendere le mosse proprio da quella risoluzione Onu 2170, che prevede sanzioni contro i gruppi jihadisti in Siria e Iraq. L'apertura non è di poco conto. Muallim, uno degli uomini chiave del regime, legato a doppio filo sia al presidente Bashar sia a suo padre Hafez, è anche stato ambasciatore negli Stati Uniti dove mantiene tutt'oggi contatti e legami importanti. Durante la crisi dell'agosto 2013, segnata dalla minaccia di un intervento americano, è stato uno degli artefici dell'accordo per la distruzione delle armi chimiche siriane mediato da Vladimir Putin. Ad un anno di distanza questo ministro, incaricato da sempre di tenere le fila degli spinosi e complessi intrecci politico-diplomatici intessuti da Mosca e Washington sull'asse siriano, prepara un'altra mossa. Una mossa chiave per la sopravvivenza e il rafforzamento del regime di Bashar. Cesellando un accordo con Washington Muallim cancellerebbe dieci anni di politica americana e restituirebbe alla Siria quel ruolo di paese perno della lotta al terrorismo jihadista occupato fino al 2003.
La mossa garantirebbe tra l'altro anche la definitiva riabilitazione di un presidente Bashar al Assad definito - non più tardi di un anno fa - un «nuovo Hitler» dal segretario di stato americano John Kerry. L'eventuale piroetta diplomatico-militare sarebbe comunque relativamente strabiliante visto che solo quattro anni fa il segretario di stato americano non aveva avuto alcun problema ad accettare l'invito a cena del «nuovo Hitler» in un ristorante di Damasco.
L'offerta di Muallim va comunque analizzata anche alla luce delle crescenti difficoltà incontrate sul terreno dall'esercito siriano. Nelle ultime ore le forze di Damasco hanno dovuto ritirarsi dalla base aerea di Taqba regalando allo Stato Islamico il quasi totale controllo dei territori intorno a Raqqa, capoluogo e capitale politico militare del versante siriano del Califfato. La caduta di Taqba, arrivata dopo la perdita di altre due basi, sancisce la supremazia tattica di un Isis che può contare sull'esperienza di centinaia di veterani integralisti tempratisi sui fronti più caldi dello jihadismo, dall'Afghanistan alla Somalia, dall'Algeria alla Cecenia. Grazie a questo nucleo di veterani, agli armamenti razziati negli arsenali iracheni e alle ingenti risorse finanziarie l'esercito del nuovo Califfato è in grado di resistere sia ai raid dell'aviazione di Damasco, sia alle azioni pianificate dai generali dei pasdaran iraniani d'intesa con quelle milizie curde e sciite di Hezbollah impiegate come forze di controguerriglia.
La battaglia per la base di Taqba, la più sanguinosa delle quattro offensive lanciate in meno di una settimana dalle forze jihadiste sul fronte siriano, è costata la vita ad almeno 340 combattenti jihadisti e ad oltre 170 militari siriani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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