
Ultimi negoziati: fino a domani sera. Ancora 48 ore concesse da Emmanuel Macron all'ex premier. Poi la palla tornerà al presidente. Quasi un riavvolgere il nastro francese alla IV repubblica, con il ruolo dominante dei partiti e instabilità acuita dalle scelte dell'Eliseo. Dopo aver accettato le dimissioni-choc di Sébastien Lecornu, dopo meno di 14 ore dalla nomina del suo governo, ieri mattina il capo dello Stato ha virato ancora il corso della storia francese sull'incognita: senza parlare pubblicamente ma facendo sapere che si "prenderà le sue responsabilità" in caso di "fallimento" degli ennesimi negoziati affidati al fedelissimo.
Poche linee guida, a Lecornu, se non l'incarico di cercare una "piattaforma comune" in un sentiero però sempre più stretto e con alchimie quasi al capolinea. Quello che non gli è riuscito in tre settimane da premier (formare un governo coeso e sostenuto da una maggioranza parlamentare) dovrebbe in sostanza riuscirgli in meno di due giorni, magari sventolando più esplicitamente il rischio di essere declassati da Standard & Poor's come Paese. In sostanza, o i repubblicani ri-entrano nel (nuovo?) governo Lecornu - in un esperimento bis riveduto e corretto - o sarà quasi certamente scioglimento dell'Assemblea nazionale.
Nuovo voto per la "Camera" altamente probabile, dunque: con cui il presidente affiderebbe ai francesi il tentativo di dare al Paese una maggioranza attraverso le urne, ma in un clima di esasperazione crescente in cui l'86% dei cittadini denuncia lo spettacolo "straziante" offerto dalla classe politica; i convinti che un nuovo voto legislativo sbloccherebbe la situazione sono, secondo Elabe, solo il 42% (per il 28%, aggraverebbe la crisi). Secondo i rumors della "Macronie", se il ministro dell'Interno Retailleau (leader dei Républicains con un piede già in corsa per l'Eliseo) rifiuta di partecipare alla rianimazione dell'esperimento Lecornu da lui stesso fatto naufragare, sarà difficile agire diversamente dal colpo di spugna sull'Assemblée. Ma la dichiarazione off the record filtrata ieri dall'Eliseo, e attribuita a Macron (nella foto mentre camminava solitario lungo la Senna), non esclude a priori l'ipotesi di dimissioni del presidente; peraltro, secondo il 51% dei francesi, sarebbe l'unica via per uscire dall'impasse (per il 26% aggraverebbe la situazione politica). Con un'Assemblée oggi tripolare, quasi nessun osservatore scommette che questo stato di cose cambierebbe con un nuovo voto legislativo: a meno di un exploit della destra lepenista alle urne - oggi tra il 31% e il 34% nei sondaggi per il 1° turno e dove si riaffaccia l'ipotesi finora impronunciabile di coalizione con i neogollisti dati tra il 10% e il 12% - o del blocco delle sinistre, ben più diviso rispetto all'estate '24, quando sotto il nome di Nuovo Fronte popolare (con i mélenchoniani a trainare socialisti, verdi, comunisti e alleati minori) ottennero il risultato che per giorni permise di aspirare legittimamente a un incarico da premier affidato a un "loro" nome in quanto prima coalizione. Il Rn di Le Pen era ed è primo partito. Macron scelse di insistere sullo "zoccolo comune" plasmato da centristi, macroniani, neogollisti; gli sconfitti delle urne. Ora, con gli esiti certificati ieri dal terzo premier defunto dopo quella scelta - stavolta non caduto in Aula come i due precedenti, ma per abbandono a meno di 14 ore dalla formazione del governo e un mese dopo la nomina - 5 sono gli scenari. Scioglimento: probabile.
Dimissioni di Macron: meno quotate ma non escluse. Lecornu con nuovo governo. Destituzione del presidente per via parlamentare, tentazione dell'estrema sinistra: complessa, darebbe alla Francia il colpo di grazia. O un nuovo premier, tutto da inventare.