
Mostro di Firenze: un Dna riapre il caso dei casi. Natalino Mele, il bimbo scampato al primo dei delitti che terrorizzeranno la Toscana per 17 anni, non è il figlio di Stefano Mele, condannato per aver ucciso la madre di Natalino, sua moglie Barbara Locci, e l'amante, Antonio Lo Bianco, il 21 agosto del 1968. Secondo le comparazioni, il padre biologico di Natalino è Giovanni Vinci, fratello di Francesco e Salvatore, già amante della Locci lasciata, a suo dire, perché incinta. Solo oggi si scopre che la donna aspettava suo figlio, non quello del marito assassino. Giovanni, nonostante la stretta parentela con il clan dei sardi sospettati di questo e dei delitti successivi, non è stato mai indagato.
La riesumazione del cadavere di Francesco per le analisi e il prelievo del profilo genetico di un figlio di Salvatore e quello di Natalino, oggi 63enne, riscrivono in parte la storia. Il sopravvissuto alla strage di Lastra a Signa, insomma, non è figlio di Stefano Mele, il manovale condannato, con le attenuanti del delitto d'onore, a 13 anni ma di un uomo che lui non ha mai conosciuto, Giovanni Vinci. La pistola usata per la mattanza è la calibro 22 che torna a sparare, e a uccidere, sette coppie di amanti dal 1974 al 1985, delitti per i quali viene indagato e condannato in primo grado Pietro Pacciani insieme ai "compagni di merende", Giancarlo Lotti e Mario Vanni. A riaprire il fascicolo le pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, come rivela con uno scoop il quotidiano La Nazione firmato Stefano Brogioni, giornalista che da sempre si occupa dei misteri del mostro di Firenze. E se il killer di Signa non è il padre di Natalino, perché lo avrebbe risparmiato?
È sera quando un bimbetto di poco più di sei anni bussa alla porta di un casolare, a due chilometri di distanza dalla scena del crimine. Natalino è senza scarpe, con i calzini bianchi, puliti. L'hanno portato lì istruendolo su cosa dovesse dire al proprietario, Francesco De Felice. "Mi accompagni a casa perché la mamma e lo zio sono morti in macchina?". L'auto è un'Alfa Romeo Giulietta. All'interno la Locci e Lo Bianco, centrati dai proiettili di una pistola che riapparirà in una spirale di delitti anni dopo. Giovanni Vinci, durante l'inchiesta sui delitti del "mostro", viene interrogato proprio sulla relazione con la prima vittima. Agli inquirenti dichiara di aver lasciato la Locci appena saputo che aspettava un bambino. Oggi si scopre che si trattava di suo figlio. Vinci lo sapeva? Il mistero si infittisce quando il killer colpisce di nuovo, nel 1974. Mele, però, si trova carcere e si punta sulla pista sarda per abbandonarla del tutto, nel 1989, accusando il contadino di Mercatale, Pacciani.
Riaprendo le vecchie informative si scopre che la Locci era stata l'amante anche di Francesco Vinci, fratello minore di Giovanni. Su di lui e su Salvatore si indagherà per anni. Le scoperte del genetista Ugo Ricci (l'esperto che ha trovato il Dna di Andrea Sempio sotto le unghie di Chiara Poggi) potrebbero rivelarsi fondamentali per nuove verità. Fra i misteri ancora aperti il revolver calibro 22 che con i suoi proiettili per 17 anni ha ucciso otto coppie di amanti e che non è stato mai trovato. "Un'arma passata di mano in mano", si legge nella sentenza di condanna di Pietro Pacciani. Un verdetto dettato, forse, dalla difesa estrema di un processo passato in giudicato, quello di Stefano Mele.
L'arma, dopo uno stop di sei anni, gli stessi del piccolo sopravvissuto, torna a "parlare" uccidendo altri 14 amanti. Tutto questo, e altro ancora, verrà raccontato anche in una serie Netflix, Il Mostro, diretta da Stefano Sollima, presentato a Venezia, in streaming dal 22 ottobre.