Mozioni Italicum, caos Pd. Assente la minoranza dem

Passa il testo con 293 sì e 157 no, anche Ncd rischia di mandare sotto il governo. Convergenza M5s e sinistra

Mozioni Italicum, caos Pd. Assente la minoranza dem

Qui Senato, ore 9.30, toc toc. C'è la maggioranza? No, torna subito, è dal barbiere, è alla buvette. È mancata stanotte.

L'importante seduta sul ddl che riforma il processo penale slitta alle 9.55. Nuovo toc toc. Il morto non risponde. Alle 10.15, nessun respiro. 10.35, flebile segnale di vita dalle macerie: è (solo) indisposta, provate nel pomeriggio. 16.30? No, non è ancora pronta. 16.55? Un ultimo ritocchino. Alle 17.15, ecco la maggioranza riapparire più vaporosa e vacua che pria.

L'ha rianimata bocca a bocca il ministro guardasigilli Andrea Orlando. I centristi di Ap e Ala si chetano, il governo giura fedeltà al testo originario (promessa di fiducia, l'ennesima), ci si rivede in aula. Motivo del malore improvviso? Gli emendamenti presentati dallo stesso Pd (Casson, Lumia e Cucca) «hanno aperto una guerra all'interno della maggioranza», denuncia l'ex pd Mineo. «I centristi li tengono in ostaggio», spiega la capogruppo di Si, De Petris. «Autostruzionismo», ride Maurizio Gasparri. Casson è sottile: «I centristi stanno mandando segnali per l'Italicum, il ddl giustizia è una scusa».

Non resta che verificare. Qui Camera, ore 16,20, pant pant. La maggioranza è in affanno, il Pd in tilt. La mozione sull'Italicum che dovrebbe aprire il dialogo sulle modifiche alla legge elettorale è giudicata, nell'ordine: «Un ciaone al confronto» (Scotto, Si); «ridicola e farsesca» (Brunetta, Fi); «più dignitoso il nulla» (Quagliariello); «Imbarazzante» (D'Attorre, ex Pd); «debole» (Pegorer e Gotor, Pd). La ministra Maria Elena Boschi, sempre così disponibile a sentir ragioni, conferma il parere favorevole del governo «aperturista» solo a quella del Pd-Ncd, contrario a tutte le altre. Le votazioni lo confermeranno. Il Pd però s'è perso una quarantina di voti. Il capogruppo Rosato fa le pulci agli assenti: solo in 24 sono mancati «per scelta politica», gli altri «assenti giustificati». Tertium non datur (non essersi fatti vedere per non avere rogne). Il viceRenzi, Guerini, è british: «Non drammatizziamo». «Chiedere di più sarebbe stato rischioso», dice Orfini alla minoranza interna, che si sente presa per il sedere e intanto al Senato ha già presentato un ddl per un Mattarellum 2.0, sottoscritto dai 21 piddini. La «ragione politica» delle clamorose diserzioni vengono spiegate dai leader di minoranza, disgustati dal loro stesso partito (ancora una volta, che stomaci forti). In mattinata l'aveva premesso Bersani, parlando di Renzi: «Le volpi finiscono in pellicceria». Cuperlo, magnifico come sempre: «Appvezzo l'apevtura ma mi sembva tvoppo timida, non pavtecipevò al voto». Speranza, pane al pane: «Il Pd gioca a nascondino: nel 2015 abbiamo messo la fiducia per approvare una legge elettorale sbagliata, dovevamo dirlo con coraggio, non presentare una mozione generica che non dice nulla».

Non dice nulla, la mozione approvata con 293 voti favorevoli e 157 contrari (le altre, bocciate: quella di Sel-Si 287 contro 109; Cinquestelle 314 contro 74; quella del centrodestra 315 no e 43 sì)? Spiega la grillina Lombardi: «Impegna il governo a permettere al Parlamento di fare... il Parlamento». Grazie Renzi, lo diceva pure la Costituzione, ma va bene uguale. «Un impegno ad accelerare i tempi», spera il superottimista Pisicchio.

Vista dal centrodestra non sembra: «Dibattito sull'Italicum ridicolo, se ne parlerà dopo il referendum», chiudono Gasparri, Toti e Romani, felici per non essere caduti nell'ennesimo trabocchetto di Renzi.

Ah, a proposito. Fanno sapere dal Nazareno che sarebbe (ancora) premier e che dispone di (solida) maggioranza.

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