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Mps, scontro giudici-pm: "Milano non ha indagato"

Salvini (Procura generale): era vicina al crac, ora nuove perizie. E gli inquirenti si ribellano

La sede di Siena del Monte dei Paschi
La sede di Siena del Monte dei Paschi

Altro che innocenti: «Se tutte le rettifiche a partire dal 2015 fossero state correttamente apportate il patrimonio civilistico di Monte dei Paschi si sarebbe ridotto quasi a zero e la Banca avrebbe avuto serie difficoltà a continuare ad operare». Mps, dice il giudice milanese Guido Salvini, era sull'orlo del fallimento. E prima di prosciogliere gli uomini che stavano al suo vertice dopo lo scandalo, ovvero Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, bisogna indagare ancora. Cosa che la Procura della Repubblica non ha fatto.

È uno scontro frontale tra magistrati quello in corso a Milano sulla più grave crisi bancaria degli ultimi anni. Nel capoluogo lombardo sono approdati alcuni stralci, trasmessi per competenza dalla procura senese. Nel filone senese, l'ex presidente Giuseppe Mussari e i suoi coimputati sono stati assolti; a Milano invece, il mese scorso, per gli stessi imputati sono fioccate le condanne. Ma la partita più delicata è un'altra: quella sulla gestione della banca nei tre anni in cui alla sua testa, dopo l'allontanamento di Mussari, arriva Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit. Cosa accade, tra il 2012 e il 2015, nel colosso della «finanza rossa»? Si moralizza e si ripulisce, o si continua a mentire ai mercati e agli investitori?

Nell'agosto 2016, su esposto di uno dei soci, la procura di Siena indaga anche Profumo e Viola, trasmettendo tutto per competenza a Milano, dove meno di un mese dopo la Procura chiede l'archiviazione. E lì nasce la prima fase dello scontro, con la Procura generale che dispone una nuova perizia sui conti del colosso senese. Quando arriva la perizia, che dà atto ai nuovi vertici di Mps di avere recepito quasi per intero le indicazioni della Banca d'Italia correggendo i bilanci, la Procura insiste per l'archiviazione delle accuse.

Ma va a impattare - e qui si apre lo scontro finale - contro il rifiuto del giudice Salvini di accontentarsi della verità emersa fino a quel punto, e che la perizia non basta a chiarire. Il tema è quello cruciale dei crediti «deteriorati», i finanziamenti concessi da Mps a clienti destinati a non rimborsare mai né capitale né interessi. Una situazione catastrofica solo in parte rilevata dalla Banca d'Italia, che analizzando «a campione» i finanziamenti concessi da Mps evidenziò crediti deteriorati per 4,6 miliardi mentre le sofferenze irrecuperabili «ammontavano verosimilmente a più di 26 miliardi». «Il giudizio di inadeguatezza organizzativa, procedurale e globalmente aziendale formulato dalla Banca d'Italia nei confronti di Mps non rifletteva del tutto l'ancor più grave stato dei fatti in quanto non descriveva completamente la situazione di rischio in cui si trovavano i clienti dell'Istituto».

Alla base del convincimento del giudice Salvini c'è un'altra perizia, depositata in un processo civile in corso a Siena contro Mps da parte di un fondo di investimento. Ma è chiaro che a non convincere il giudice è anche la straordinaria rapidità con cui fin dall'inizio la Procura ha chiesto l'archiviazione dell'indagine contro i nuovi vertici di Mps, e l'ostinazione con cui ha proseguito sulla stessa linea. E il giudice sembra fare propria un'altra perizia, quella dell'ingegner Giuseppe Bivona, in cui si dice «la banca avrebbe fatto figurare come semplici sofferenze crediti ormai del tutto inesigibili» e che «le comunicazioni al mercato sarebbero state sistematicamente ingannevoli a partire dal comunicato del gennaio 2013, in costanza della guida di Profumo e Viola, in cui si affermava che la situazione è sotto controllo"».

Ultima puntata dello scontro, dieci giorni fa nella stanza del giudice Salvini: si assegna l'incarico al nuovo perito per tornare a scavare nei conti di Mps. Ci sono Profumo e Viola, ci sono gli avvocati di Mps che anch'essa è indagata. Ma a chiedere di annullare l'udienza per un vizio di notifica non è un imputato: è la Procura della Repubblica.

Di solito non succede.

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