Myanmar, spari sulla folla. Strage di ragazzi: 18 morti

I soldati prendono di mira le ambulanze e poi festeggiano. L'Sos del Papa: "Come Tienanmen"

Myanmar, spari sulla folla. Strage di ragazzi: 18 morti

Un altro giorno di sangue in Myanmar. Le forze di sicurezza, nonostante le condanne della comunità internazionale, hanno di nuovo fatto fuoco ad altezza uomo in diverse città del Paese. Alcune fonti parlano di 18 vittime, altre addirittura di una trentina. La certezza è che le violenze dell'esercito si sono trasformate in una vera e propria strage di innocenti. Dall'inizio delle proteste contro il colpo di Stato militare, infatti, sono state uccise almeno quaranta persone. Ma potrebbero essere molte di più.

Le immagini postate sui social network mostrano scene raccapriccianti. Su un video si vedono gli uomini della polizia puntare le armi contro un'ambulanza, costringere il personale medico a scendere dal veicolo, per poi colpirlo ripetutamente. Altre foto mostrano i soldati festeggiare dopo aver sparato. In altre ancora si vedono persone ferite e i volti insanguinati delle giovani vite spezzate.

A Yangon, la città più grande del Myanmar, secondo quanto riferiscono i media locali, sono stati uccisi sette manifestanti. A Mandalay, le forze di sicurezza hanno colpito al petto un uomo di 37 anni e hanno centrato la testa di una donna di appena 19. Nella città di Monywa, nella regione di Sagaing, sette persone sono state uccise e circa settanta ferite. A Myingyan, nella parte centrale del Paese, un ventiduenne è morto per una ferita al volto. A Mawlamyine è toccato ad un diciannovenne. E la lista sembra non finire mai. Gli uomini dell'esercito e della polizia hanno usato il pugno di ferro in tutte le città dove la popolazione è scesa per manifestare il proprio dissenso contro la giunta militare al potere del primo febbraio.

Le violenze di ieri sono arrivate il giorno dopo che l'Asean, l'Associazione delle Nazione del Sud-Est asiatico di cui la ex Birmania fa parte , si è riunita e ha sollecitato l'esercito alla moderazione, senza però riuscire a condannare in maniera concreta gli autori di questa mattanza. «Vogliamo continuare ad impegnarci ad essere utili e costruttivi, ma la soluzione sta all'interno dello stesso Myanmar», ha detto dopo l'incontro Vivian Balakrishnan, ministro degli Esteri di Singapore, il più grande investitore nel Paese controllato dai generali golpisti. Retno Marsudi, ministro degli Esteri indonesiano, ha dichiarato timidamente che «che la volontà, l'interesse e le voci del popolo devono essere rispettati».

«Singapore, che ha una reale influenza nella regione, sta scegliendo di non esercitarla al massimo, nel perfetto modus operandi che si ha all'interno dell'Asean», spiega al Giornale Zachary Abuza, docente al National War College di Washington. «L'Indonesia sta cercando di guidare un'uscita diplomatica, ma non ha l'autorità necessaria. Mentre la Cina, fedele alleata del Myanmar anche negli anni dell'embargo, sta rapidamente spostando la sua posizione per accomodare la giunta militare, fiduciosa che i suoi enormi interessi economici che la legano a Naypyidaw verranno protetti», ha aggiunto.

«Il Paese è come piazza Tienanmen nella maggior parte delle sue principali città», ha scritto su Twitter il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, riferendosi alla violenta repressione delle proteste del 1989 a Pechino.

Anche Papa Francesco è tornato a parlare del Myanmar, auspicando un intervento internazionale per facilitare il dialogo e la liberazione di Aung San Suu Kyi e di tutti i leader dell'opposizione, per «riprendere il cammino di democrazia intrapreso negli ultimi anni».

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