«Quella nave non è italiana» E lo scafista tentò di fuggire

«Quella nave non è italiana» E lo scafista tentò di fuggire

CataniaChiudevano e aprivano le botole con la chiave. Facevano passare solo le persone che dovevano espletare i loro bisogni fisiologici. Poi, di nuovo, serravano i lucchetti sui due livelli della stiva dove erano stati ammassati centinaia di immigrati. C'erano due guardiani sul peschereccio della strage del 17 aprile, oltre allo scafista e al suo presunto «aiutante». Entrambi somali, sono morti nel naufragio. Un naufragio - nuova rivelazione - causato da un presunto tentativo di fuga dello scafista quando si è accorto che il mercantile in soccorso non era italiano. È questo l'ultimo particolare della cronaca della notte della strage del 17 aprile al largo della Libia dalle parole dei testimoni.

I dettagli sono contenuti nelle quindici pagine dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Paola Cosentino: per il giudice, Mohammed Ali Malek, tunisino di ventisette anni, e Mahmud Bikhit, siriano di venticinque, sono i colpevoli dell'ecatombe di sabato notte.

La dinamica del naufragio sembra diventare quindi ora più chiara. L'incidente sarebbe stato causato da un tentativo di fuga dello scafista: nel momento in cui si sarebbe accorto che il mercantile batteva bandiera portoghese, e che quindi non era italiano, avrebbe accelerato bruscamente. È una reazione che dice molto sulla percezione dell'Italia come unico Paese amico e accogliente da parte degli stessi trafficanti di profughi. Racconta un testimone, nello specifico, e un altro con parole analoghe, che «il comandante della nostra imbarcazione, notando che l'equipaggio del mercantile non era di nazionalità italiana, provava ad allontanarsi urtando per tre volte il mercantile, al terzo urto il nostro natante si è capovolto».

Il tunisino e il siriano sono arrestati per i reati di disastro colposo (e non strage), naufragio, sequestro e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Con l'aggravante che nel naufragio sarebbero morti «diverse decine di minori», scrive il gip, «tra i quali anche minori di anni quattordici».

Il riconoscimento di entrambi è stato confermato da tutti i testimoni durante l'incidente probatorio di ieri: lo scafista, il tunisino Malek, guidava il peschereccio e parlava al telefono con il boss libico delle traversate, Jaafar, chiamato il «grande direttore», mentre il suo braccio destro, il piastrellista siriano Bikhit, che in tutti gli interrogatori si è definito un semplice passeggero pagante, si muoveva liberamente sul barcone. E poi c'erano quei due somali, i carcerieri. Ieri a Palermo è arrivato il mercantile King Jacob. Ai marinai, tutti molto scossi, è stata fornita assistenza psicologica.

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