C'è stato un periodo in cui era la grande alternativa a Matteo Salvini per la leadership della Lega. Per questo fa un certo effetto veder ritornare in cronaca il nome di Flavio Tosi, invischiato sia pure lateralmente in una brutta vicenda che porta fino alla ndrangheta e alla cosca degli Arena-Nicosia di Isola Capo Rizzuto. Ieri la procura antimafia di Venezia arresta 23 persone, sequestra 15 milioni di euro e porta a galla una rete criminale dedita al riciclaggio e alle estorsioni. In realtà, Tosi finisce in un capitoletto che poco o nulla ha a che fare con i boss: l'ex presidente dell'Amia, municipalizzata veronese, Andrea Migliorazzi, ora ai domiciliari, avrebbe pagato una fattura «non inferiore a cinquemila euro» presentata da un'agenzia di investigazione privata per una prestazione mai erogata ma nell'interesse di Tosi. Di qui l'accusa di concorso in peculato. Un intoppo, nella carriera di un uomo politico sconfitto nello scontro durissimo con Salvini, ma sempre convinto di poter giocare, alla prima occasione, la partita della rivincita.
Sette o otto anni fa, Tosi è appunto con il Matteo milanese l'astro nascente della Lega, forte di un consenso altissimo a Verona, dove è sindaco amatissimo dal 2007 al 2017.
L'accordo - per come lo racconta Tosi ai suoi amici - viene raggiunto da Roberto Maroni che vuole evitare conte sanguinose e rinforzare nell'unità un partito in sofferenza dopo i disastri della famiglia Bossi. Salvini diventa dunque a fine 2013 il segretario del Carroccio e comincia piano piano a macinare voti virando dal secessionismo bossiano al nazionalismo lepenista e collocando ai margini, in una nicchia, il padre fondatore. All'ingenuo Tosi viene promessa la candidatura a premier. Insomma, il grande salto da Verona a Roma, dove è spesso ospite del salotto mediatico. Ma prima che i sogni si avverino i due pesi massimi si scontrano: Salvini rompe con Tosi e alla fine il primo cittadino di Verona viene espulso dalla Lega in cui il leader milanese è ormai l'asso pigliatutto.
Tosi fonda un suo partito, Fare!, che peró affonda in quella terra di mezzo, stretta fra centrodestra e centrosinistra, in cui è difficile marciare spediti ed essere riconosciuti dagli elettori. Il sindaco tenta di strappare la Regione a Luca Zaia ma la sfida fratricida è anche una battaglia impossibile: Zaia viene rieletto governatore, Tosi ottiene un ragguardevole ma inutile 11 per cento che non lo porta da nessuna parte.
Il suo destino, almeno in questo scorcio, è segnato. Ma chi lo conosce assicura che stia meditando di risalire sulla giostra, partendo sempre dalla roccaforte di Verona. Del resto ha appena passato la linea dei cinquant'anni e le vicissitudini lo hanno ridimensionato ma non hanno spento le sue ambizioni.
Prima però, dovrà affrontare questo insidioso ostacolo e l'accusa di peculato. «Non ne so nulla - dichiara l'ex proconsole della Lega in Veneto -, ne uscirò totalmente estraneo come tutte le altre volte. Nel 2006 da assessore regionale subii addirittura una perquisizione domiciliare, salvo poi essere totalmente prosciolto.
Da sindaco sono sempre stato rigorosissimo nel mio mandato, tanto da non aver utilizzato vetture e autisti pur avendone diritto e facendo risparmiare decine di migliaia di euro al contribuente». Ora cinquemila euro mettono a rischio il suo ritorno sulla rampa di lancio.
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