"Negare i diritti ai gay fa male all'economia"

Lo sostiene Justin Nelson, cofondatore e presidente della americana Camera di Commercio per gay e lesbiche che in questi giorni sta aprendo una filiale anche in Italia

"Negare i diritti ai gay fa male all'economia"

"In Italia l'omofobia sta crescendo, soprattutto nelle regioni settentrionali. Vorrei far capire che escludere i gay è nocivo specialmente per il business". Lo dichiara all'Huffingtonpost Justin Nelson, cofondatore e presidente della americana Camera di Commercio per Gay e Lesbiche (National Gay&Lesbian Chamber of Commerce). Secondo Nelson negare i diritti agli omosessuali fa perdere l'1,7% del Pil.

"Quattrocento grandi imprese e colossi finanziari hanno firmato la petizione dei gay americani per ottenere il matrimonio omosex. Hanno costretto la politica ad ascoltare quello che avevano da dire e la politica è particolarmente sensibile alle ragioni dell'economia. Anche in Italia può accadere lo stesso", ha spiegato l'imprenditore gay che attualmente si trova in Italia per un tour durante il quale promuoverà la prima Camera di Commercio Lgbt italiana. Nelson andrà anche a Venezia, ma assicura che non incontrerà il sindaco Luigi Brugnaro "perché - dice - credo che sia lui a non volermi incontrare" e lo attacca sostenendo che la sua iniziativa di censurare dei libri che spiegano la teoria gender ai bambini dell'asilo mette "a rischio l'economia della città". "Possiamo guardare a questa vicenda di Venezia - spiega Nelson - pensando al fatto che il turismo omosessuale americano vale 80 miliardi di dollari e l'84% dei gay statunitensi e il 36% dei transessuali hanno un passaporto. L'Italia figura nelle prime tre mete preferite di queste persone. Quello che Venezia sta facendo è mettere a rischio una parte della sua economia e se fossi in Brugnaro prenderei in considerazione l'ipotesi di cambiare strategia politica e puntare sull'inclusione".

Nel corso della sua lunga intervista, poi, Nelson racconta che la sua National Gay&Lesbian Chamber of Commerce è nata nel 2002 per aiutare le imprese commerciali degli omosessuali americani ma, nonostante questo"siamo ancora discriminati perché siamo messi al margine e non abbiamo le stesse opportunità di crescita" sia per colpa dei consumatori che delle imprese. "Per la prima volta, grazie a noi, - dichiara con soddisfazione Nelson - esiste un programma federale che aiuta i piccoli e grandi imprenditori lgbt a produrre meglio e a rimanere nel mercato. Il governo americano spende ogni anno 100 miliardi di dollari per acquistare merci e servizi e fino a poco tempo fa questa fetta di mercato escludeva sostanzialmente l'impresa degli omosessuali, delle lesbiche e dei trans, così li abbiamo convinti che anche noi, come le donne e le minoranze etniche, dovevamo avere accesso al commercio con lo Stato. Lo stesso discorso con i grandi marchi: da 35 anni prevedono canali commerciali antidiscriminazione per le donne e da vent'anni per le minoranze etniche ma non c'era nessun programma che permetteva agli imprenditori omosessuali di poter vendere i loro servizi e le loro merci a queste grandi imprese". Anche i grandi colossi come Facebook, Ibm, Verizon e Hbo hanno deciso di associarsi con la sua Camera di Commercio. Aziende il cui "potere di acquisto, oggi, equivale a 880 miliardi di dollari: si tratta di 16-20 milioni di persone che se fondassero uno stato sarebbero la diciannovesima potenza mondiale", spiega Nelson che poi racconta il caso della Wells Fargo, la quarta banca degli Stati Uniti. "E' stata una delle prime ad associarsi alla nostra National Chamber insieme con Ibm, Motorola, JpMorgan, e quello che è accaduto è che ha ricevuto in cambio dalla comunità omosex più richieste di mutui, più conti correnti d'impresa, un maggior numero di noleggio di macchine e così via. Ma le cose sono cambiate in positivo anche per i dipendenti e per le loro famiglie, quando queste includevano una persona omosessuale. E cambia l'atteggiamento di tutti i cittadini nei confronti di quell'azienda perché, per esempio, una persona omosessuale di talento manda più volentieri il proprio curriculum alle imprese che rispettano i suoi diritti".

E qui il discorso si focalizza sul punto di vista del lavoratore: "Abbiamo calcolato che un dipendente gay spende il 15-25% delle sue ore lavorative settimanali preoccupandosi di non essere discriminato o di non ottenere l'adeguata considerazione o una promozione solo perché gay. Come attivista posso pensare che questo è orribile, ma come imprenditore è ancora peggio perché significa che il 25% dell'attività di quei dipendenti se ne va letteralmente fuori dalla finestra". Dal punto di vista dei consumatori, secondo Nelson , l'Italia perde una grossa fetta di mercato in quanto nel nostro Paese: "vivono circa 3 milioni e mezzo di omosessuali, con un potere d'acquisto di 126 miliardi di dollari, equivalente alla 61ma potenza mondiale. Se fossero una regione sarebbero la sesta per importanza economica, come la Toscana" e perciò "se in Italia non esiste ancora una legge sui matrimony gay o sulle unioni civili, allora occorre far sapere alle imprese che devono diventare alleate di questo diritto, che in fin dei conti è un diritto umano e ciascuno dovrebbe poter sposare la persona che ama"." Avere le aziende dalla propria parte è importante - spiega Nelson - perché i politici ascoltano con attenzione il mondo del business. Se l'economia e la finanza americana non avessero dato il supporto alle nozze gay, forse saremmo ancora agli albori.

E invece 400 grandi imprese hanno firmato la nostra petizione per l'uguaglianza tra il matrimonio etero e il matrimonio gay. Quando l'imprenditoria dice: ora basta, i miei dipendenti e i miei clienti devono avere questo diritto, allora la politica non può far finta di nulla".

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