Roma - Una campagna referendaria faraonica, quella del premier Matteo Renzi, con spese che l'azzurro Brunetta stima finora tra i 15-20 milioni di euro. Ma che pure non ha evitato, al leader Pd, contestazioni e smacchi clamorosi. Anche ieri a Trapani il premier è stato contestato all'arrivo al cinema Ariston per l'ennesima manifestazione per il Sì. «Dobbiamo voler bene a questi ragazzi che mi contestano - ha polemizzato Renzi dal palco - dev'essere una vita terribile quella passata solo a lamentarsi». Il segretario pidino sembra mostrare i segni di un nervosismo crescente, che lo porta a unire in maniera abbastanza ardita il voto sulle nostre riforme alla possibilità di «ottenere riforme strutturali anche in Europa, cui servono molto». È ormai senza esclusione di colpi, la sua campagna personale, che almeno ha fatto registrare qualche timido segnale positivo nei sondaggi grazie all'ennesima balla propagandata, l'abolizione di Equitalia.
Sull'informazione corretta e appropriata si gioca questa campagna sul referendum, piena com'è di insidie e trabocchetti. A partire dall'elemento della paura del «dopo» vittoria del No, che i fautori del governo vorrebbero disegnare ancora catastrofico (anche se lo stesso Renzi ha ammesso che non succederebbe granché). Nel Pd intanto lo scontro è diventato feroce. D'Alema, sulla scorta di un sondaggio Ipsos, ironizza sul fatto che «i giovani votano No. Renzi parla a nome di una gioventù che non lo segue, votano Sì solo le persone molto anziane, forse perché hanno maggiori difficoltà a comprendere il contenuto di questa riforma sbagliata». Dato vero, ma solo in parte, considerato che nella conferenza stampa indetta ieri dal Pd, anche un non-anziano come il presidente Orfini è sembrato assai in difficoltà sull'elemento della comprensione della posta in gioco, buttandola sulla polemica anti-D'Alema e sulla necessaria compattezza del partito. Unità sulla quale un'intervista durissima dell'ex leader Bersani ha messo pietra tombale. Rivendicando la scelta di un «pezzo di sinistra che sta dentro questo magma del No, perché non puoi stare sempre con quelli che comandano», Bersani ha annunciato che se vince il No «il Pd di Renzi è da considerarsi finito». Il segretario sarà messo in discussione dai neo-ulivisti, e la richiesta di un congresso dovrà contemplare il mutamento delle regole per l'elezione del leader: «Il prossimo segretario dev'essere scelto dagli iscritti, lasciando le primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra».
Bersani è pronto alla guerra totale: «A Renzi non posso perdonare l'errore di aver chiamato a un giudizio di Dio su questa riforma, l'esatto opposto di quel che diceva Calamandrei... E non pensino di dire a me cose tipo stai sereno... Io di certo non lo lascio, il partito. Sarà un confronto aspro, più secco di altre volte».
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