nella rete si è strangolato il comune senso del pudore

di Claudio Risè

Cosa ci sta accadendo? Cosa ci raccontano, nel giro di poche ore, il suicidio di una giovane donna i cui video porno, col loro miserabile «parlato» erano virali sul web e nel Paese (diventando sadismo, derisione, «tormentone» collettivo), e il disorientamento di una diciassettenne ubriaca che fa sesso con un albanese, ripresa col telefonino da amiche sghignazzanti che la postano subito su What's app? Internet, d'accordo. Internet è però un luogo, che va di sicuro regolato, ma prima di tutto frequentato con attenzione e rispetto. Per se stessi innanzitutto. Ma quello manca. Come mai?

Degrado culturale? Certo. Chi può negarlo? Un degrado che ha raggiunto ormai vaste zone della popolazione, ben più ampie dei 2 milioni 300 mila giovani dai 15 ai 29 anni che né studiano né lavorano, e quindi non si capisce come potrebbero sfuggirvi. Ma al centro di queste storie c'è qualcosa di più profondo della cultura, che pure è alla base della società umane. Sono storie di corpi gettati via, offesi, abbandonati agli altri, dalle donne innanzitutto, e dagli uomini che le usano in modo perverso, appena possibile. Il grande assente di queste vicende è il pudore, quell'aspetto sottile, indispensabile dell'essere umano, al limite tra la cultura e la sua base più profonda: l'istinto. Il filosofo Max Scheler chiamava il pudore il «nascondimento del bello», necessario a preservarlo. Un aspetto, che, come tutto l'istinto cui appartiene, condividiamo in parte con gli stessi animali, che si mostrano solo quando sentono che non corrono alcun pericolo, che l'altro non vuole fargli del male, sono in mani amiche.

Nell'Occidente «evoluto» però, molti pensano che il pudore sia soltanto un vecchio tabù culturale/religioso, che prima ci se ne libera meglio è. Tragico errore, perché senza la consapevolezza della sacralità del nostro corpo (dopotutto il nostro patrimonio più sicuro e prezioso) è difficile sopravvivere, soprattutto in modo equilibrato. Senza il rispetto del corpo (che il bambino ancora avverte), diventiamo solo testa: miti, slogan, ideologie. Privi di equilibrio e di un territorio fisico e simbolico, personale, nel quale l'altro possa entrare solo se ammesso e profondamente desiderato. Soprattutto mai invitato ad entrare e rapinarci, sperando nella sua attenzione e benevolenza.

La cacciata del pudore non è una tragedia solo delle donne. Certamente sono le più esposte, anche per l'uso strumentale che la comunicazione, dalla pubblicità ai media, continua a fare del corpo femminile, con la loro partecipazione. Anche per i maschi però non è facilissimo: la pressione a considerarsi merce è forte, ed è indebolito il rapporto con la natura profonda, di cui si nutre appunto l'istinto, con il suo fratello pudore. Che le religioni non hanno inventato, ma trovato in tutte le culture umane, anche le più semplici, seppure declinato in modi diversi. Certo non ha giovato al pudore l'interpretazione auto repressiva che ne hanno dato il sociologo cui si ispira il «politicamente corretto» (Norbert Elias), e la stessa psicoanalisi freudiana; entrambi d'altronde smentiti dall'antropologia.

Adesso, anche per la spinta esibizionistica e invasiva che ormai ogni cellulare possiede, è però urgente riscoprire e valorizzare il sentimento del pudore, ed il mondo degli istinti profondi cui appartiene.

Senza pudore non c'è il senso di sé e quindi neppure dell'altro. Si è separati dalla propria fonte di vita, dal proprio territorio affettivo e psicologico, disorientati. Chiusi nel proprio corpo, e si cerca di arrangiarsi con quello, scambiandolo. Ma è un massacro.

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