Neruda, l'altra verità: "Non morì di cancro, lo uccise un veleno"

La scienza smentisce il certificato di morte del '73. E torna il sospetto di un omicidio

Neruda, l'altra verità: "Non morì di cancro, lo uccise un veleno"

I fatti certi sono questi. Pablo Neruda morì il 23 settembre 1973 a Santiago del Cile. Il premio Nobel per la letteratura era malato da tempo, un tumore alla prostata. Nei giorni precedenti aveva assistito al crollo della democrazia nel Paese. Il presidente Salvador Allende, amico personale dello scrittore, era morto durante l'assedio del Palacio de la Moneda (l'11 settembre). Neruda, che aveva attaccato con i suoi versi il regime militare, stava preparandosi a espatriare verso il Messico. I militari avevano iniziato da subito a perquisire la sua casa e a metterlo sotto pressione. E lui rispondeva a colpi di versi, come nella sua ultima poesia I satrapi, scritta mentre era già ricoverato alla clinica Santa Maria a Santiago: «Nixon, Frei e Pinochet/ fino a oggi, fino a questo amaro/ mese di settembre/ dell'anno 1973,/ con Bordaberry, Garrastuzu e Banzer,/ iene voraci (...)/ satrapi mille volte venduti/ e traditori».

Ma dove finiscono i fatti certi iniziano le verità dubbie. La prima «verità» è quella proclamata dai medici di quella clinica cilena subito dopo la morte del poeta. Una diagnosi post mortem che parlava di «cachessia e insufficienza cardiaca», sostanzialmente uno stato di indebolimento generale dell'organismo prodotto dalla lunga malattia. Va da sé che comunque il neonato regime di Pinochet, che fece sorvegliare da torme di soldati armati il funerale del poeta (il quale, pur pentendosene, aveva elogiato altre dittature come quella stalinista), tirò un sospiro di sollievo. Un temibile oppositore, intoccabile anche solo per fama internazionale, se ne era andato.

Poi c'è la «verità» clandestina che iniziò a circolare dopo il decesso dell'autore di Canto General, ovvero l'avvelenamento da parte dei militari. Questa tesi ha portato all'apertura di un processo con l'esumazione della salma del poeta (a cui all'inizio la fondazione Neruda si era opposta) nel 2013. Fondamentali per l'apertura del procedimento le testimonianze dell'autista di Neruda, Manuel Arraya, della terza moglie Matilde Urrutia e di una infermiera della clinica. Riferirono tutti di una misteriosa iniezione fatta al poeta. Alla fine dell'inchiesta arrivò un'altra «verità» ufficiale. I medici legali non rintracciarono tracce di sostanze venefiche nel corpo, le metastasi tumorali invece erano abbondanti.

I parenti di Neruda e il partito comunista cileno chiesero comunque un supplemento di inchiesta e da allora si sono susseguiti diversi team scientifici che in effetti hanno iniziato a riscontrare diverse anomalie, come la presenza di alcune proteine sospette nelle ossa. E ieri il team internazionale di scienziati (spagnoli, statunitensi, canadesi, cileni, danesi e francesi) a cui è stata affidata l'ultima parola ha dato il suo responso. «Non possiamo ancora escludere né affermare la causa naturale o violenta della morte di Pablo Neruda - ha dichiarato Aurelio Luna durante una conferenza a Santiago del Cile -, la conclusione fondamentale però è l'invalidità del certificato di morte». Insomma, il tumore non è la causa di morte e nemmeno l'indebolimento. Di certo nei tessuti è stata rilevata una presenza anomala di batteri patogeni compatibile con il rapido aggravamento delle condizioni del poeta. Batteri che, vista l'alta concentrazione, potrebbero esser stati anche coltivati in laboratorio, secondo gli esperti.

Ma per capire se si tratta di batteri riprodotti in vitro ci vorranno altri sei mesi di indagini. E chissà se in questo caso si arriverà ad accertare un fatto che vada oltre le «verità» di parte. Così si compiranno anche i versi di Neruda: «Ora, lasciatemi tranquillo./ Ora, abituatevi senza di me».

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