Deambula. Tradotto in italiano, potrebbe pure tagliare la corda. Dunque, Marcello Dell'Utri deve rimanere in cella e deve curarsi in carcere. È l'ennesimo no quello che arriva dal tribunale di sorveglianza di Roma ed è un diniego che assume sfumature quasi grottesche.
Neppure il braccialetto elettronico, peraltro incompatibile con le terapie, scongiurerebbe il rischio: il pericoloso detenuto potrebbe allontanarsi come nel 2014, quando fu acciuffato in Libano. Lui è sempre più malandato, soffre di una grave cardiopatia e ha pure rischiato di finire all'altro mondo a causa di un'infezione. Dettagli, a quanto pare, come il tumore alla prostata, diagnosticato la scorsa estate. Anzi, i giudici si superano smentendo di fatto anche le loro stesse preoccupazioni. A dicembre infatti la magistratura aveva gelato le speranze dell'ex parlamentare, riconsegnandolo alle sbarre di Rebibbia. Poi, però, il tribunale aveva fatto una mezza giravolta a sorpresa: aveva riaperto d'ufficio il fascicolo appena chiuso, rimettendo in discussione quel no pronunciato con tanto di ordinanza. Sembrava una svolta, non era cosi. Attenzione: i giudici avevano letto le reazioni allarmate della direzione e del medico di Rebibbia che facevano seguito alle obiezioni e ai dubbi già avanzati dai periti della procura generale.
In questa situazione la radioterapia, necessaria e sempre più urgente dopo la scoperta della malattia, è impossibile. Non esiste un reparto ad hoc dove ricoverare il fondatore di Publitalia e il regime ambulatoriale, con un andirivieni quotidiano, è impraticabile. Troppo stress per il malato, un salasso di energie per lo Stato che non può garantire le scorte quotidiane e i viaggi avanti e indietro fra la prigione e l'ospedale.
Il tribunale di sorveglianza ha dunque riesaminato la pratica per arrivare infine alla solita conclusione: le condizioni di salute non sono incompatibili con il carcere. «Questo è accanimento contro di lui - replica la moglie, Miranda Ratti - le motivazioni sono barzellette».
In effetti, dopo tanti drammatici appelli e scontri in udienza, ora il Tribunale di sorveglianza usa parole forti per chiudere a chiave la cella. Spiega che Dell'Utri è ancora in grado di camminare e quindi potrebbe fuggire. Poi si avventura sul terreno della malattia sostenendo che il tumore non è poi così avanzato. Infine, allunga una stoccata: ricorda che a Palermo nei giorni scorsi sono stati chiesti 12 anni di carcere al termine dell'estenuante processo sulla trattativa Stato-mafia. Insomma, un'altra robusta condanna potrebbe essere dietro l'angolo. Meglio, dunque attendere gli eventi a Rebibbia e chiudere quel sentiero che gli stessi magistrati avevano percorso. In realtà i difensori avevano chiesto una misura soft: la detenzione domiciliare all'Humanitas di Milano per cominciare finalmente il ciclo di radioterapia e aggredire la malattia.
Il nuovo provvedimento non chiarisce di fatto quando e dove cominciare il trattamento: i magistrati indicano i cosiddetti reparti protetti presenti in carceri che, però, paiono inadeguati per fronteggiare questa problematica. Insomma, le manovre giudiziarie proseguono e qualcuno pensa che la soluzione arriverà da sé: Dell'Utri ha già scontato più di metà pena e potrebbe tornare libero, sfruttando il bonus della buona condotta, tra meno di due anni.
La prossima tappa è a Caltanissetta: qui l'8 marzo si giocherà di nuovo la partita della scarcerazione, ma questa volta nel merito. A chiederla, contro ogni previsione, è la procura generale in vista di una revisione sempre più probabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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