Ha ragione il negoziatore americano Aaron David Miller, mentre Obama fa dire ai suoi che collaborerà con qualsiasi governo eletto dal popolo israeliano: «La Casa Bianca dovrà lasciare lo champagne in ghiaccio per un altro po'». E non brinderanno nemmeno parecchi notabili dell'Ue che si erano già preparati, nei giorni in cui i sondaggi gli davano quattro seggi di meno della sinistra (21 a 24) a gettare Benjamin Netanyahu nella spazzatura della storia. Il coro dei giornalisti che piamente difendono sempre i palestinesi contro Israele, non brinderà.
E naturalmente è in stato di shock Buji Herzog, il capo dell'unione sionista, incredulo che Israele possa avere improvvisamente voltato le spalle all'ipotesi di averlo come primo ministro di un governo di sinistra. Eppure Bibi ha preso 30 seggi, e Buji è fermo a 24: la distanza, dopo un primo pareggio, via via è aumentata durante la notte, e il Likud ha festeggiato il suo leader che combattendo una personale «guerra dei sei giorni» si è rivelato più forte della campagna d'odio condotta anche sul piano familiare (le accuse alla moglie) e più forte dei sondaggi: ha trascinato ai seggi un mare di elettori col carisma personale e con la richiesta di aiuto contro una prospettiva pericolosa per l'esistenza stessa dello Stato. E ha anche convinto i partiti del blocco di destra che era meglio votare per lui che mantenere in piedi una propria inefficace casetta politica. Così per esempio Naftali Bennet, capo del partito di destra «Casa ebraica» si è accontentato di 8 seggi, Yachad, il partito religioso di Eli Ishai è sparito dalla scena, e Yisrael Beitenu, il partito di Yvette Liberman, che ha avuto anche guai giudiziari, ha solo sei seggi. Notevole variante è il partito arabo unito, terzo con 14 seggi, che sembrava aver deciso di passare al blocco di sinistra, ma che via via ha visto riaprirsi le sue divisioni interne.
Se Herzog stia prendendo in considerazione l'idea di un governo di coalizione non si sa, ma è altamente probabile. Netanyahu però soffre il trauma del passato governo, aveva coperto Tzipi Livni di onori col ruolo di ministro della Giustizia e negoziatore coi palestinesi per poi vedersi attaccato furiosamente, e Lapid, ministro delle Finanze, ha chiesto agli elettori con vero odio di distruggere Netanyahu. Bibi opterà forse per un governo con i religiosi, ma che incameri anche i dieci seggi di Moshè Kahlon, personaggio che può conferire a Bibi credibilità in campo sociale, su cui aveva perso terreno.
Come ha fatto a recuperare così rapidamente di fronte all'unione che aveva come slogan «chiunque fuorché Bibi»?. Lo si accusava di essere un fissato sulla sicurezza, lo si biasimava per aver distrutto i rapporti con Obama in nome della mania dell'Iran nucleare, si vedeva in lui la causa efficiente della rottura coi palestinesi e quindi delle costruzioni nei territori. Per controbattere, Bibi è semplicemente stato sé stesso in modo intensivo. Ha parlato ovunque, ha spiegato di nuovo e di nuovo le ragioni della scelta per la sicurezza, ha puntato su chi non gli aveva dimostrato odio, ma non ha mai rinnegato un passato in cui c'è lo sgombero di Hebron, l'incontro di Wye Plantation con Arafat con conseguenti concessioni, ma anche la secessione dal padre spirituale Ariel Sharon quando sgomberò Gaza nel 2005.
Bibi è un realista, puoi non essere d'accordo con lui ma alla fine le sue analisi sono sempre concrete in economia, in strategia. Il suo primo mandato come primo ministro lo ebbe dopo essere stato ambasciatore in un'Onu e aggressiva in cui la fece da domatore. Era il 1999 quando vinse contro Shimon Peres. Poi la sconfitta subita da Ehud Barak, il ritiro alla vita privata e il ritorno nel 2002, da ministro degli Esteri. Il suo maggiore successo lo ottenne da ministro delle Finanze espandendo la privatizzazione, liberalizzando la circolazione del denaro e riducendo il deficit. Dal 2009 Bibi è stato di nuovo primo ministro di questa barchetta nel mare in tempesta del Medio Oriente. Ora ne diventerà il premier più longevo, battendo il record di Ben Gurion. Come diceva la sua più chiaccherata pubblicità elettorale, il «bibi sitter» di Israele in un mondo in fiamme.
di Fiamma Nirenstein
da Gerusalemme
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