«La stabile organizzazione occulta di una società estera completamente priva di personale e caratterizzata esclusivamente da una struttura tecnologica avanzata»: non è la affascinante trama di una nuova serie di Netflix, ma la realtà che secondo la Procura di Milano ha consentito proprio a Netflix di accumulare per anni profitti in Italia senza versare un solo euro di tasse nel nostro paese. Grazie a trecentocinquanta server sparsi per la Penisola sulle reti telefoniche, il segnale in streaming dei film del colosso americano arrivano in altissima qualità nelle case degli italiani: ma fino all'altroieri per il fisco italiano era come se Netflix non esistesse. Adesso è pace fatta, o quasi. Il colosso si impegna a versare una robusta multa - oltre cinquantacinque milioni di euro - all'Agenzia delle entrate, e soprattutto a impiantare sul nostro territorio una struttura aziendale a tutti gli effetti. Dal gennaio scorso ad incassare i proventi degli abbonamenti italiani non è più la Netflix International BV con sede in Olanda ma la Netflix Italy srl, che qui pagherà le tasse relative. Tutto nasce dall'inchiesta della Procura di Milano: «il primo caso in ambito mondiale», spiega ieri il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, capo del pool sui reati economici internazionali, in cui si riesce a chiudere il cerchio intorno a queste società «fluide» della digital economy.
Quando l'inchiesta venne alla luce, nel 2019, negli accertamenti della Guardia di finanza gli abbonamenti italiani a Netflix assommavano a circa un milione e mezzo. Lo scorso 6 maggio, quando l'azienda ha diramato il suo ultimo conteggio, il totale delle utenze aveva superato i cinque milioni. Una crescita esponenziale (anche se ultimamente rallentata dall'ingresso in campo di altre piattaforme rivali) che la dice lunga sulla quantità di liquidi messi in circolazione dalla passione incontenibile per serie e film dal divano di casa. E fa sì che alle tariffe attuali a Netflix basteranno gli incassi italiani di un mese per saldare il conto con l'Agenzia delle entrate.
«Siamo soddisfatti - dichiara ieri un portavoce di Netflix - di aver posto fine a questa vicenda, che ha riguardato gli anni fiscali 2015-2019. Abbiamo mantenuto un dialogo ed una collaborazione costanti con le autorità italiane e continuiamo a credere di aver agito nel pieno rispetto delle norme italiane e internazionali applicabili al caso di specie».
La Procura di Milano, guidata dal nuovo capo Marcello Viola, resta di diverso avviso. Sia perché la svolta accettata da Netflix è la riprova che il vecchio sistema non era del tutto rispettoso delle «norme italiane e internazionali», sia perché resta aperta l'indagine penale, che vede indagati per omessa denuncia dei redditi alcuni manager della società. Si tratta esclusivamente di manager stranieri, individuati dalle «fiamme gialle» milanesi come amministratori della Netflix olandese agli inizi dell'inchiesta. Ma è verosimile che con l'accordo sul fronte delle tasse anche l'indagine giudiziaria possa arrivare a conclusione senza troppi danni.
Rispetto alle altre inchieste della Procura milanese sui giganti della economia digitale, l'indagine su Netflix era una novità assoluta: mentre Google, Facebook e gli altri colossi avevano in Italia una struttura fisica, dipendenti e dirigenti, eppure erano sconosciuti al fisco, la piattaforma di streaming aveva come unica presenza italiana la tecnologia, i server, le infrastrutture.
Per questo è stato tanto difficoltoso quanto importante inquadrare giuridicamente il Content delivery network attraverso cui arrivava nelle case il segnale di Netflix, e dimostrare che - anche senza un solo impiegato in Italia - anch'essa era di fatto una azienda italiana.
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