Roma L'ennesima grana esplosa nel governo grillin-leghista fa saltare il Consiglio dei ministri e il varo dei decreti-manifesto su sicurezza e immigrazione, tanto cari a Matteo Salvini e annunciati da mesi.
Col consueto ritardo, i Cinque Stelle hanno realizzato solo ieri che il titolare del Viminale gliela stava facendo sotto il naso: «Non possiamo regalargli l'ennesimo spot», sono insorti. Bloccando in extremis l'operazione leghista. Il Consiglio dei ministri è stato dunque rinviato a lunedì, mentre il premier Conte e lo stesso Salvini si sono precipitati a giurare che tutto va ben, madama la marchesa: nessun dissidio nel governo, nessuna spaccatura nella maggioranza, l'improvviso intoppo è dovuto solo a «ragioni di cortesia»: Conte e Di Maio erano in giro per il mondo, e non si è voluto operare il loro assenza. «Senza presidente del Consiglio e vice presidente del Consiglio mi sembrava di votarmi da solo il mio provvedimento», si giustifica Salvini.
Che si tratti di una pezza diplomatica sullo strappo appare però ovvio: mercoledì all'ora di cena, infatti, il Viminale aveva fatto sapere che tutto era pronto per la mattina dopo, quando i decreti sarebbero stati varati dal Consiglio dei ministri. Complicato sostenere che all'interno del governo manchino a tal punto il coordinamento e lo scambio di informazioni da rendere possibile che il titolare del Viminale non sapesse che il giorno dopo i due sarebbero stati l'uno a Strasburgo e l'altro in Cina.
E infatti la questione è tutta politica: all'ultimo momento, i Cinque Stelle si sono svegliati, hanno scoperto che i decreti in lavorazione da mesi e strombazzati per settimane in lungo e in largo, con ampie anticipazioni fornite alla stampa, erano una «ennesima manovra propagandistica» di Salvini, e un «regalo» alla sua campagna elettorale sicuritaria e anti-immigrati. E si sono messi di traverso, chiedendo modifiche. Alle quali apre anche Conte: «Tutti i provvedimenti possono essere modificati, fino all'ultimo momento», fa sapere il premier dalla trasferta austriaca. I punti che l'ala movimentista dei grillini contesta sono l'abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la modifica della durata del permesso per casi speciali, come per cure mediche, ad un anno anziché due, e le restrizioni all'acquisizione della cittadinanza.
Ma ci sarebbero anche obiezioni tecniche del ministero della Giustizia sul reato di blocco stradale (che contrasta con le attuali fattispecie) e del ministero del Tesoro per la spesa eccessiva dovuta al mantenimento di cinque diverse sedi per l'Agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia. L'ala governativa di M5s, che fa capo a Di Maio, è però in allarme: «Se si fa guerra aperta alla Lega su aspetti così tecnici si rischia l'implosione. D'altronde il decreto è firmato da Salvini, mica dal Papa: che si aspettavano?».
Il capo del Carroccio approfitta della confusione mentale degli alleati per tirare dritto, fa sapere che non intende cambiare «neanche una virgola» e annuncia: «Ci abbiamo lavorato per due mesi e lunedì li approveremo». Con tanti saluti ai Cinque Stelle che, è il sottinteso, potevano pensarci prima.
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