E utanasia, suicidio assistito, dolce morte. Gli uomini hanno trovato garbati giri di parole per definire la scelta terribile di porre la parola fine alla propria vita volontariamente. Nessuno di queste perifrasi riesce a coprire la tragicità di questa scelta soprattutto nel caso di una donna tremendamente giovane, neppure maggiorenne, come era la ragazza olandese Noa Pothoven. Il suo non è però un caso di eutanasia come hanno riportato tutti i media, anche se la vicenda ha alcuni aspetti poco chiari sui quali il ministero della Salute olandese ha deciso comunque di avviare un'ispezione. Un primo passo per verificare se vi sia la necessità di aprire una vera e propria indagine ma non per stabilire se si sia trattato di un caso di eutanasia perché già stato accertato che non lo è.
La giovanissima ragazza si è rifiutata di bere e di mangiare: in sostanza si è lasciata morire ricevendo come assistenza della cure palliative per il dolore. Il ministero vuole accertare quale tipo di cure abbia ricevuto Noa e se ci sia stato qualche errore nei trattamenti somministrati per poi decidere se procedere con un'indagine ufficiale.
Ma perché tutti i media hanno parlato di eutanasia? Noa era stata violentata da bambina per due volte a 11 e a 14 anni. Un trauma terribile che non era mai riuscita a superare: la ragazza nonostante le cure era da anni vittima di una forte depressione. «Respiro ma non vivo», diceva Noa che in effetti mesi fa aveva chiesto a una clinica dell'Aja di poter essere sottoposta all'eutanasia, all'insaputa dei genitori. La clinica però aveva rifiutato la richiesta. «Pensano che sia troppo giovane per morire», aveva spiegato poi la stessa Noa ai suoi genitori. I dottori interpellati dalla giovane infatti le avevano detto che avrebbe dovuto aspettare almeno di compiere 21 anni. «Sono devastata perché non ce la faccio ad aspettare così tanto tempo», aveva commentato disperata la ragazza. In Olanda la pratica dell'eutanasia è ammessa ma prevede comunque dei precisi paletti soprattutto in caso di minorenni. I genitori avevano tentato varie strade per curare la sua depressione, proponendo anche l'elettroshock. Anche questo era stato rifiutato perché troppo giovane. Noa però dopo essersi rifiutata di sottoporsi a qualsiasi trattamento ha smesso di bere e di mangiare. I genitori in accordo con i medici hanno deciso di non imporle l'alimentazione forzata. Hanno deciso di arrendersi di fronte all'inamovibile volontà della loro figlia che di fronte a una «sofferenza insopportabile» chiedeva «lasciatemi andare». Un caso che ha suscitato anche la reazione di Papa Francesco. «L'eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza» scrive su Twitter Papa Bergoglio.
Non si può parlare di eutanasia per Noa anche per Marco Cappato, finito sotto processo e poi assolto, per aver accompagnato in una clinica svizzera Dj Fabio. Qui l'uomo cieco e tetraplegico in seguito a un incidente aveva avuto accesso al suicidio assistito. Noa, sottolinea Cappato, aveva interrotto nutrizione e idratazione, lasciandosi di fatto morire: «Una possibilità contemplata anche in Italia dove chiunque ha il diritto di rifiutare nutrimento e idratazione».
Cappato insiste affinché il Parlamento approvi al più preso una legge sul fine vita. Proprio ieri M5s ha depositato una proposta di legge che prevede la possibilità di accedere a suicidio assistito in caso di malattia terminale.
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