Roma «Razzisti noi? Maddeché! Noi con gli immigrati africani ci siamo diventati pure amici. C'abbiamo vissuto per 4 anni assieme. Martedì, poi, c'hanno mandato questi. Gli zingari no, non ce li volemo». Angela è di poche parole. Poche ma chiare. Intanto la Procura indaga per danneggiamento e minacce aggravate dall'odio razziale e la Digos è al lavoro per identificare gli attentatori. Torre Maura, la banlieue romana tra la via Casilina e il Grande Raccordo Anulare da due giorni teatro di una guerra fra poveri. Da una parte gli inquilini delle case Erp del Comune di Roma, sette palazzine abbandonate al degrado, dall'altra sinti provenienti dai campi nomadi dismessi. In mezzo l'amministrazione capitolina, che ha dato in appalto la gestione del centro in via dei Codirossoni, VI Municipio, e la Prefettura che ha firmato il decreto di trasferimento. Fatto sta che gli oltre 70 rom provenienti dal vecchio centro di accoglienza di via Toraldo, a Torre Maura non ce li vogliono. E dopo una notte di barricate, auto e cassonetti incendiati, camper in fiamme, il dietrofront del Campidoglio. Una settimana e lo Sprar «Savi», una clinica per la riabilitazione convertita in struttura d'accoglienza per rifugiati, verrà sgomberato.
Una vittoria per il comitato inquilini ottenuta con la mediazione di Gabriella, portavoce del quartiere. È assegnataria di una casa comunale di via delle Cincie la donna con la quale il Comune è sceso a patti. Anzi, è capitolato. Una trattativa durissima con il capo di gabinetto della sindaca Raggi, Stefano Castiglione, conclusa a tarda notte e sancita da un documento che suona come una Caporetto: «L'Ufficio Speciale Rom Sinti e Camminanti - si legge - ha deciso di operare la ricollocazione delle persone presenti nella struttura presso altri centri di accoglienza per persone fragili su tutto il territorio romano». Tutto rientrato? Nemmeno per sogno. Gli abitanti non mollano. «Devono andare via subito - urlano davanti ai poliziotti in tenuta antisommossa». Quando, a mezzogiorno, arriva Marco Fardilli, delegato alla sicurezza di Roma Capitale, riesplode la protesta. «La nostra priorità è riportare la calma - spiega -. Faremo il possibile per evitare in futuro situazioni del genere. Sono qui per rassicurare. Con grande senso di responsabilità si è decisa la progressiva ricollocazione delle persone ospitate, per la tranqillità dei 33 minori e delle persone fragili». Durante la prima notte di presidio qualcuno appicca il fuoco a una Skoda parcheggiata di fronte l'ex clinica, un'auto della sala operativa sociale che gestisce il centro di accoglienza. Le fiamme coinvolgono un camper parcheggiato davanti. Un mezzo appartenente a una famiglia rom da tempo assegnataria di un alloggio popolare in via dell'Usignolo. «Adesso questa persona ha paura» spiega Patrizia, un'operatrice volontaria dell'Opera Nomadi. -Teme per la propria incolumità e per quella dei suoi 9 figli. Lei non c'entra nulla con questa storia. Era regolarmente in graduatoria e le hanno dato casa. Si è integrata perfettamente, gli altri assegnatari le vogliono bene». Bruna, il suo nome, scende in strada con un bimbo in braccio. Prova a parlare con gli altri abitanti del quartiere ma viene circondata e insultata. «Vai via ladra» le dicono. «Qui manca tutto - dice Sergio Becattini del comitato inquilini Erp -, siamo stati mesi senza acqua per una tubatura rotta. I giochi per i bambini sono sommersi dalle piante, il bus 556 lo vogliono sopprimere. E il Comune ci porta i rom?».
Qualcuno racconta che con i senegalesi del centro, richiedenti asilo, era tutta un'altra storia. «Ai nostri figli insegnavano l'inglese - spiegano -, giocavano a calcio assieme. Ci aiutavano a ripulire i giardini. Non avevamo alcun problema. Ora con questi qui abbiamo paura che entrino in casa».
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