Nomine, serve altro tempo. Ma Meloni è vicina all'"en plein"

C'è tempo fino a domani. In Cdm ancora tensioni tra Lega e Fdi. La premier sceglie i 5 top manager, 3 presidenti agli alleati

Nomine, serve altro tempo. Ma Meloni è vicina all'"en plein"

Tensioni? Una bella litigata? E quando mai. «Qui si lavora in piena sintonia», dicono da Palazzo Chigi. Ma dopo tre mesi di felpati scontri sulle nomine delle aziende pubbliche, ora volano gli stracci anche in Consiglio dei ministri. La Meloni cala il suo atteso pokerissimo, cinque amministratori delegati suoi per le big five, Eni, Enel, Poste, Terna e Leonardo, sperando di incassare, tuttavia la Lega ancora resiste. Fino a quando? Non è un problema di profili, sostiene il Carroccio, perché sono tutti ottimi, ma di metodo. «La scelta dei vertici delle aziende di Stato è una partita ristretta ai leader - spiega il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari - Sarebbe bizzarro che fosse un solo partito a indicare le persone a discapito degli altri». Eppure a quanto pare è proprio quello che sta succedendo. La partita resta aperta, i tempi slittano, ballano alcune caselle, «la lista domani», anche se, raccontano, l'accordo sarebbe pronto, con questo schema: Giorgia asso pigliatutto.

Agli alleati ampie compensazioni con le presidenze e le sedie nei cda delle partecipate. A Salvini concessioni sulla questione migranti, su Piantedosi che traballa, su Leonardo e su qualche ente di seconda fascia, interessante però per i soldi del Pnrr da gestire.

Vedremo se l'intesa è stata davvero raggiunta, se regge, o se siamo di fronte solo al pressing finale della premier. Fonti diverse di governo parlano di «fase tuttora interlocutoria» e di «confronto aperto a margine del Consiglio». La soluzione non c'è «ma si continua a lavorare», con Meloni che «non vuole mollare». Già il fatto che di nomine se ne debba occupare in modo irrituale il Consiglio dei ministri la dice comunque lunga sulle diversità di pensiero sull'argomento, almeno in partenza: per statuto la scelta dei manager spetta infatti all'azionista ufficiale, il ministero dell'Economia guidato da Giancarlo Giorgetti. Formalmente poi ci sarebbe tempo per decidere fino a domani 13 aprile: l'otto maggio scade il Consiglio di amministrazione delle Poste e i nuovi vertici vanno nominati con 25 giorni di anticipo. Le altre aziende per prassi si adeguano. Ed è proprio in queste 48 ore di margine in attesa della formalizzazione che si nascondono tutte le insidie. Due giorni per la politica italiana è un tempo biblico. Quante volte i papi designati sono usciti cardinali, se non pretonzoli?

Da qui l'idea della Meloni di tenere le carte coperte fino all'ultimo, rimandando vertici e concedendo solo semplici chiacchierate informali, per poi imporre le sue scelte all'ultimo momento. Niente manuale Cencelli, niente rivoluzioni, soltanto «improntate alla competenza», perché «non bisogna cambiare soltanto per cambiare» e perché «chi ha fatto bene deve rimanere». Conferma quindi per Claudio Descalzi al timone dell'Eni, mandato confermato pure per l'ad di Poste Matteo Del Fante. Per l'Enel l'uomo giusto della premier è Stefano Donnarumma, che così lascerebbe Terna a Giuseppina di Foggia, «vice president» di Nokia: non a caso, festeggiando l'otto marzo, Giorgia si era chiesta quanto ancora avremmo dovuto attendere per vedere una donna alle redini di una grande società dello Stato. Infine, per la quinta delle big, Leonardo, ecco pronto Stefano Cingolani, professore, ministro della Transizione ecologica con Mario Draghi, consulente per l'energia del governo attuale. Una decisione di continuità che piace all'Europa.

Quanto alle presidenze, Paolo Scaroni andrebbe alle Poste, il generale Giuseppe Zafarana a Leonardo, Alfredo Becchetti all'Enel. In questa maniera la Meloni ritiene di poter superare gli ostacoli leghisti, senza contare sul gioco delle nomine per altre società come Rete Ferroviaria e Trenitalia. Matteo Salvini smentisce tensioni. «Con Giorgia ci sentiamo di continuo, i retroscena che leggo sono fantasiosi. Chiuderemo in totale serenità».

E il punto politico, al di là dell'entità delle compensazioni, è proprio questo. Per la Lega, se le decisioni sono dell'intero centrodestra, allora devono essere frutto di un accordo. Altrimenti, aridatece Cencelli e il suo manuale.

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