Non è Re Sergio Primi segnali da vero arbitro

La distanza tra Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano sta tutta nell'approccio che i due hanno avuto nei loro primi discorsi di fine anno. Se giovedì sera il capo dello Stato si è volutamente guardato dal parlare di politica, snobbando i temi cari al Palazzo e dedicandosi a questioni più popolari come lavoro, legalità ed evasione fiscale, nel 2006 di ben altro tenore fu l'esordio a reti unificate del suo predecessore. Che invece si appellò agli italiani chiedendogli di «non allontanarsi dalla politica», che non è una parolaccia ma «passione civile». Subito dopo il richiamo alle riforme, già a tracciare quello che sarebbe stato il mood dei successivi otto discorsi di fine anno. Perché già nel 2006 Napolitano sottolineava la necessità di un «rinnovo delle istituzioni e delle autonomie», come pure di nuovi «meccanismi elettorali che rendano più lineare e sicura la formazione delle maggioranze».Due profili, dunque, uguali solo nella durata dei rispettivi discorsi: 18 minuti esatti sia per Napolitano nel 2006 che per Mattarella nel 2015. Per il resto, una distanza siderale. Con l'attuale inquilino del Colle che, almeno fino ad oggi, pare intenzionato a riportare il Quirinale in un alveo più istituzionale e meno interventista. Forse persino troppo visto il silenzio assoluto sulle riforme e sul referendum confermativo di ottobre prossimo che un passaggio - magari breve e conciso - l'avrebbe comunque meritato.Mattarella, insomma, avrà pure avuto una verve che al confronto Napolitano sembrava Bruce Springsteen, ma senza dubbio pare aver tracciato il profilo di un settennato super partes. Senza quel ruolo attivo che con Napolitano ha in più di una occasione rasentato l'ingerenza, non tanto nei discorsi di fine anno quanto nelle cose di tutti i giorni. Dalle riforme, fino ai passaggi che hanno portato all'avvicendamento a Palazzo Chigi tra Silvio Berlusconi e Mario Monti. Con l'ultimo atto nel biennio 2013-2015, quando l'allora capo dello Stato ha benedetto il passaggio di consegne tra Enrico Letta e Matteo Renzi, entrambi premier non eletti (come peraltro Monti).

Un attivismo che Napolitano rivendicò nel suo ultimo discorso di fine anno, quello del 31 dicembre 2014. Quando sottolineò l'importanza di aver portato a casa «il fondamentale risultato» di «aver tenuto in piedi la legislatura apertasi nel 2013». D'altra parte, non è un caso che lo chiamassero tutti «Re Giorgio».

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