Responsabili, chi? Dalle parti di Forza Italia è una sequela di smentite sull'eventuale gruppo che potrebbe nascere soprattutto in Senato per sostenere il governo giallorosso, in caso di strappo da parte di Matteo Renzi. «Macché, Paolo Romani e qualcuno dell'Udc ci stanno provando, ma i numeri non li hanno».
Se una conferma c'è riguarda il tentativo di reclutamento per salvarsi la poltrona da parte del premier Giuseppe Conte e del capo delegazione Pd Dario Franceschini che ieri, di prima mattina, si sarebbero messi al telefono per sondare eventuali disponibili a sostituire parlamentari di Italia viva in uscita dalla maggioranza. Ma, raccontano, senza successo. Ad alcuni azzurri scontenti sarebbe stato assicurato anche che, in caso di difficoltà per formare un gruppo parlamentare di almeno dieci senatori, arriverebbero in soccorso alcuni 5Stelle o ex grillini del gruppo misto. Le manovre, insomma, ci sono ma con scarsi risultati. A quanto risulta oltre al totiano Romani che si dà da fare in Senato («Animato da spirito di vendetta personale», assicurano da Fi) e a Renata Polverini alla Camera, altri pronti ad uscire dal partito non ce ne sarebbero.
Perché poi, per il timore della deriva sovranista nel centrodestra? È per questo che Silvio Berlusconi, molto seccato, interviene per dire che le dichiarazioni di Romani («che ha lasciato da tempo» il partito) riportate ieri da Repubblica, sul fatto che egli vorrebbe «consegnare» Forza Italia alla Lega, come gli consiglierebbero i vertici delle sue aziende e la famiglia, «non soltanto sono destituite di ogni fondamento, ma sono esattamente il contrario di quanto affermato infinite volte» dallo stesso leader azzurro. Che, al contrario, «è al lavoro ogni giorno per far tornare a crescere Fi, sulla base di un'identità forte, liberale, cristiana, garantista, propria della civiltà occidentale e dei suoi principi, chiaramente alternativa alla sinistra ma anche ben distinta dagli alleati di centrodestra». Quanto a famiglia e aziende il Cav assicura che «mai hanno interferito sulle determinazioni politiche».
I sospettati di eventuali fughe sono, in primis, gli azzurri più vicini a Mara Carfagna e al suo movimento, ma proprio loro negano. «Sono impegnato per il rilancio di Fi - spiega al Giornale il senatore toscano Massimo Mallegni-, non certo per salvare il governo Conte, che ci vuole morti. In questo momento sono urgenti due cose, per ripartire sotto la guida di Berlusconi, che è il nostro leader e non ha successori: indicare i nostri candidati nelle regioni che presto andranno al voto, dalla Campania alla Puglia alla Toscana, per non regalare la vittoria ad una sinistra semimorta». Anche Andrea Cangini nega di aver mai pensato ad entrare in un gruppo di dissidenti che possa sostenere l'esecutivo Conte.
Un esponente di «Cambiamo» del governatore ligure Giovanni Toti, Massimo Berutti, smentisce «che possa esservi da parte del nostro movimento politico qualsiasi interlocuzione con il governo da cui ci divide tutto, nella sua totalità e nelle sue singole componenti». E la senatrice di Fi Barbara Masini sbotta: «Io stampella del Conte ter? Diffido chiunque, colleghi e giornalisti, dall'utilizzare il mio nome come bandierina per questa o quella fazione».
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