Torino, di nuovo Torino: nelle cronache giudiziarie dei processi per stupo le sentenze che arrivano dal capoluogo piemontese hanno avuto spesso negli ultimi mesi la prima pagina dei giornali; e ogni volta si è trattato di vicende in grado di suscitare dubbi sull'operato dei magistrati chiamati a processare i responsabili di crimini odiosi. Al punto da rendere inevitabile chiedersi se esista un «caso Torino», una sorta di buco nero nella macchina della giustizia che all'ombra della Mole offre ai violentatori la scappatoia verso l'impunità.
L'ultimo caso viene alla luce ieri, quando un articolo del Corriere rende note le motivazioni con cui il tribunale torinese ha assolto un infermiere accusato dello stupro di una collega, e hanno proposto alla Procura di incriminare per calunnia la presunta vittima. A rendere inattendibile la versione della donna sarebbe il fatto che durante l'aggressione non avrebbe cercato di difendersi e nemmeno gridato. «Non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi», scrivono i giudici. Non lamenta dolori, non fa neanche un test di gravidanza, e anche questo convince la corte che menta. Eppure altre sentenze di altri tribunali si guardano bene dal pretendere dalle vittime comportamenti logici e lineari durante e dopo l'aggressione.
L'assoluzione dell'infermiere arriva a poche settimane di distanza da altre due notizie torinesi sullo stesso tema: e che sollevano entrambe l'aspetto dei tempi biblici che a Torino permettono a due violentatori di farla franca. Il 21 febbraio si era scoperto che uno stupratore di bambini era tornato libero, dopo essere stato condannato in primo grado a dodici anni di carcere, per il semplice motivo che in dieci anni la Corte d'appello torinese non era riuscita a fissare l'esame del suo ricorso, provocando così la prescrizione del reato. Una manciata di giorni dopo, il 3 marzo, storiaccia simile: un patrigno che stuprava la figlia della sua compagna se la cava in Cassazione con tre anni e mezzo di condanna perché gli altri capi d'accusa sono prescritti grazie alla Corte d'appello torinese ha impiegato otto anni a fare il suo lavoro.Intanto lo stupratore se n'è tornato a casa sua, in Perù, donde difficilmente verrà mai estradato; e a rendere tutto più tragico c'è il fatto che la vittima non conoscerà mai l'esito del processo perché si è ammazzata lanciandosi dalla finestra.
Sui giudici che hanno lasciato prescrivere il primo caso il ministro della Giustizia ha disposto una inchiesta interna, ma il timore è che il problema sia più vasto, ovvero una sottovalutazione della gravità di questi crimini e della necessità di reprimerli severamente e rapidamente. Il Giornale ha parlato di numerosi casi di processi per stupro persi per anni nelle nebbie torinesi. E anche altre fonti confermano che - almeno fino a tempi recenti - a Torino nessuno si era mai preso la briga di garantire una corsia preferenziale ai processi per stupro, che finivano a bagnomaria nel minestrone dei furti e delle bancarotte, delle truffe e dei piccoli spacci di droga: perché indicare delle priorità vuol dire anche prendersi responsabilità e correre dei rischi.
Ora l'aria sta cambiando: «Sono reati su cui indagare è
delicato e complesso - dice il procuratore torinese Armando Spataro - ma i pm che qui se ne occupano lavorano tanto e bene. E col nuovo presidente del tribunale abbiamo stilato un programma che prende di petto queste esigenze».
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