A 48 ore della tragedia in cui ha perso la vita il tifoso del Rionero, Fabio Tucciariello, 39 anni, operaio, investito da un'auto con a bordo tre supporter della squadra di calcio rivale (il Melfi), si delinea più chiaramente la dinamica del dramma. Nel frattempo in carcere a Potenza, con l'accusa di omicidio volontario, è finito Salvatore Laspagnoletta, 30 anni, che guidava la Fiat Punto che ha travolto, uccidendolo, Tucciariello; arresti domiciliari per altri 26 supporter del Rionero a cui vengono contestati i reati di violenza privata, tentate lesioni e detenzione di armi improprie.
Il Giornale è in grado di anticipare la versione che, secondo gli inquirenti, pare la più plausibile e che coincide con le deposizioni di vari testimoni e dello stesso Laspagnoletta. Il 30enne di Melfi, durante la lunga notte di interrogatorio, si è difeso evidenziando cinque punti fondamentali: 1) «Non volevo investire nessuno»; 2) «L'auto che guidavo è stata circondata da ultrà del Rionero armati di mazze e tirapugni»; 3) «Io, come tutti gli altri tifosi del Melfi, siamo stati vittime di un agguato premeditato»; 4) «Nessuno di noi era preparato a scontri violenti»; 5) «L'investimento del tifoso del Rionero è stato accidentale e conseguenza del nostro tentativo di fuga per sottrarci all'imboscata». Tutti aspetti, questi sottolineati da Laspagnoletta, che gli inquirenti non solo non smentiscono ma ai quali danno l'impressione di credere, almeno parzialmente. Ciò però non ha evitato l'arresto di Laspagnoletta con la pesante ipotesi di omicidio volontario, anche se la sensazione è che nel proseguo dell'inchiesta l'accusa possa «alleggerirsi».
Intanto ieri forze dell'ordine, procura e organi istituzionali hanno dato contro in una conferenza stampa della intensissima attività investigativa sviluppatasi immediatamente a seguito dell'assurda morte di Tucciariello.
Entrambe le squadre giocano nel campionato Eccellenza. E tra loro, da sempre, non corre buon sangue. I tifosi del Melfi sarebbero quindi caduti in una trappola tesa dai rivali del Rionero. Ne è prova il fatto che la strada teatro della tragedia non si trova sull'itinerario di marcia che i tifosi del Rionero avrebbero dovuto compiere per raggiungere il paese (Brienza) dove la squadra vulturina avrebbe giocato domenica pomeriggio. Quello stesso luogo sarebbe invece dovuto essere attraversato dalla carovana del Melfi in marcia alla volta di Tolve per la gara in trasferta.
La domanda è ovvia: cosa ci facevano, «fuori zona», gli ultrà rioneresi se non per tendere un'imboscata gli odiati melfitani?
Altro particolare rilevante: sulle auto dei tifosi del Melfi non sono state trovate armi, inoltre a bordo pare viaggiassero anche dei bambini. E non si va certo a uno scontro col nemico disarmati e portandosi dietro dei figli piccoli.
Al contrario nell'area presidiata dai tifosi vulturini dove si sono scatenati gli scontri (a ridosso della casello abbandonato della stazione di Vaglio di Basilicata), la polizia ha sequestrato mazze e tirapugni. Uno scenario fondamentale per definire le responsabilità delle due fazioni in campo.
«È stato un vero e proprio agguato. Siamo dinanzi a una violenza di tipo tribale», ha detto il procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio.
Ecco le sequenze della scena-chiave: i tifosi del Rionero attendono i tifosi del Melfi, sapendo che sarebbero passati da quella strada per andare a Tolve; le auto dei tifosi del Melfi in transito sono cinque, le prime due riescono a passare mentre le ultime due fanno retromarcia; la terza auto, quella guidata da Laspagnoletta, viene bloccata e accerchiata; il conducente, per paura, accelera investendo mortalmente Fabio Tucciariello mentre un altro tifoso del Rionero rimane ferito gravemente.
La reazione di Laspagnoletta è proporzionata al pericolo incombente oppure risultata «sproporzionata», come sostenuto dal procuratore Curcio?
Il processo si svilupperà tutto su questo delicatissimo crinale.
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