New York Non c'è pace per Facebook. Dopo lo scandalo dei dati di 50 milioni di utenti raccolti da Cambridge Analytica, spunta un altro lato oscuro del social network di Mark Zuckerberg. In un memo del 2016, pubblicato ora dal sito Buzzfeed, un alto dirigente di Menlo Park ha parlato della «cruda verità», «the ugly truth», ossia sostanzialmente che il fine giustifica i mezzi. «Connettiamo le persone. Ecco perché tutto il lavoro che facciamo per la nostra crescita è giustificato», ha affermato in un documento interno il vice presidente Andrew Bosworth. «Tutte le pratiche discutibili per importare i contatti, tutto quel linguaggio sottile che aiuta gli utenti a essere cercati dagli amici. Forse a qualcuno costa la vita perché si espone ai bulli, forse qualcuno muore in un attacco terroristico coordinato sulla nostra piattaforma - ha aggiunto - Ma connettere le persone è il nostro imperativo». Parole scritte il giorno dopo che un uomo è stato ucciso a Chicago con un colpo di pistola in faccia mentre era in diretta su Facebook Live. E che ora rischiano di gettare nuova benzina sul fuoco nel caso Cambridge Analytica, anche se il fondatore di Facebook ne ha immediatamente preso le distanze.
«Non abbiamo mai creduto che il fine giustifichi i mezzi. Io e tante persone in Facebook siamo fortemente in disaccordo», ha detto Zuckerberg, precisando che «Bosworth è un manager talentuoso che dice molte cose provocatorie». «Riconosciamo che connettere le persone non è più sufficiente. Dobbiamo anche lavorare per rendere le persone più vicine tra loro - ha proseguito - È per questo che nell'ultimo anno abbiamo rivisto interamente la nostra missione aziendale». Secondo il sito The Verge, quasi 3miola dipendenti di Facebook hanno reagito alla vicenda con un misto di preoccupazione, rabbia e tristezza. E peraltro pure lo stesso autore del memo ora ha fatto sapere: «Non sono d'accordo oggi e non lo ero neanche due anni fa quando l'ho scritto. Lo scopo era portare alla luce questioni che meritavano discussioni più ampie con la società», ha affermato su Twitter. «Perché scrivere un memo che tu stesso non condividi? Doveva essere provocatorio - ha aggiunto -. Questa è stata una delle cose meno popolari che ho scritto internamente e il dibattito che ne è seguito ha contribuito a plasmare in meglio i nostri strumenti».
In realtà, dalla nota emergono le tattiche usate dalla società per la crescita. «La verità è che crediamo nel connettere gli individui in modo così profondo che tutto ciò che ci permette di mettere in collegamento più persone per noi è de facto una cosa buona», ha concluso Bosworth, entrato nel social network nel 2006 e dall'agosto 2017 impegnato nella divisione hardware, che ha subito una battuta d'arresto dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. Il documento riservato - che non sarebbe dovuto uscire dalle mura di Menlo Park - fa tornare alla mente le osservazioni critiche di ex manager e finanziatori di Facebook come Sean Parker e Roger MacNamee, i quali hanno preso le distanze dalle pratiche del social network. E mentre Zuckerberg prevede di testimoniare davanti al Congresso degli Stati Uniti nelle prossime settimane sul datagate, giovedì l'amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha puntato il dito contro un modello di business che trae profitto dai dati degli utenti.
«Potremmo fare un sacco di soldi se monetizzassimo i nostri clienti, ma abbiamo scelto di non farlo», ha detto Cook. Sottolineando che «la privacy per noi è come la libertà di espressione e la libertà di stampa». «Cosa farei se fossi al posto di Mark Zuckerberg? Io non sarei finito in questa situazione».
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