Per cinque anni è stato il capro espiatorio di tutti i nostri mali e delle tante debolezze che continuano a perseguitarci nel vecchio continente. Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco considerato alleato della Merkel (ma adesso diventa il suo avversario principale nella corsa elettorale in Germania) ci ha lasciato un grosso vuoto. Da presidente dell'Europarlamento era infatti diventato per noi una specie di parafulmine. A parte Juncker, con chi ce la potremo adesso prendere quando dovremo inveire contro gli eurocrati di Bruxelles e di Strasburgo? Non certo con il suo successore, l'italianissimo Antonio Tajani, che avrà sempre un occhio di riguardo per il Belpaese: non è un caso che il primo pensiero del «romano de Roma» è stato quello di programmare una visita ad Amatrice e dintorni dopo le nuove scosse sismiche di mercoledì.
Come potremo, a questo punto, giustificare tutte le nostre debolezze? In effetti Herr President era la persona giusta al posto giusto per essere bersagliato da tutti i nostri strali: antipatico anche a molti suoi connazionali, Schulz con quell'aria un po' così da inflessibile, rigido e solerte funzionario spesso e volentieri, fin dai tempi dell'ultimo governo Berlusconi, aveva bacchettato l'Italietta perché ci ha sempre considerato un partner inaffidabile, prontissimo a non rispettare i parametri Ue. Anche di recente, aveva pure lui mosso qualche rilievo al governo Renzi perché, proprio con l'alibi (chiamatelo alibi...) del terremoto continuava ad andare avanti per la propria strada disinteressandosi dei parametri Ue.
Intendiamoci, qualche ragione il numero uno europeo ce l'aveva: troppo spesso in effetti abbiamo fatto i furbi con la speranza che i partner avrebbero continuato a chiudere un occhio sui nostri maquillage di bilancio. Tante volte non abbiamo, così, tenuto conto dei diktat dei padroni del vapore che, in quanto tali, si comportano sovente con il ditino alzato. E con la scusa di Schulz ci siamo fatti una ragione per perseverare furbizie italiche e scaricare sovente sugli altri tutte le nostre responsabilità. È vero, il Parlamento di Strasburgo, così come Bruxelles, specie negli ultimi anni non hanno certamente fatto nulla per conquistarsi le nostre simpatie: basti solo pensare alla politica comunitaria sull'immigrazione e alle recenti prese di posizione sulle auto Fiat vendute sul mercato tedesco.
Oggi, con un italiano seduto sulla poltrona più alta dell'Europarlamento, come faremo a criminalizzare sempre gli altri per le nostre magagne? In compenso dovremo invece avere un occhio di riguardo da quei «cattivacci» di Strasburgo con la speranza che non ci sarà l'effetto-boomerang. Se siamo ovviamente contenti perché un connazionale sia riuscito a raccogliere l'eredità di Emilio Colombo dopo quasi quarant'anni di latitanza tricolore dobbiamo comunque cambiare strategia e assumerci tutte le nostre responsabilità: d'ora in poi, nel club europeo, non ci saranno più nostri nemici per partito preso nel club europeo.
L'elezione di Tajani dimostra anzi il fatto che anche l'Italia qualche volta non è considerata di serie B dai partner comunitari, compresi gli altezzosi tedeschi. Per il neo-presidente di Forza Italia è davvero una bella soddisfazione anche perché conferma come, tra tante pecorelle smarrite, alla fine la fedeltà premi sempre: Tajani lo è stato anche da giornalista.
Ricordo un particolare che risale ai tempi della Voce di Montanelli che nel 1994 fondò un nuovo quotidiano quando Berlusconi scese in campo in politica: tutti i colleghi della redazione romana del Giornale non trasmigrarono con il direttore e restarono al loro posto dalla parte dell'editore. Quella redazione era allora guidata proprio da Tajani: Antonio, nei secoli fedele.
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